Dalla Colombia alla Columbia: una guerra continua contro Israele
Commento di Ben Cohen
Testata: Informazione Corretta
Data: 06/05/2024
Pagina: 1
Autore: Ben Cohen
Titolo: Dalla Colombia alla Columbia: una guerra continua contro Israele

Dalla Colombia alla Columbia: una guerra continua contro Israele
Commento di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/from-colombia-to-columbia-an-unceasing-war-on-israel/

Gustavo Petro, presidente della Colombia, di estrema sinistra, ha annunciato la rottura dei rapporti diplomatici con Israele, con il plauso di Hamas. Tutte le sinistre sono mobilitate contro Israele in una ondata di odio contro "i coloni" (perché così considerano Israele: uno Stato "coloniale"). Gli israeliani e gli ebrei di tutto il mondo, a queste avversità, rispondono anche con l'umorismo.

 

In tempi di avversità, gli ebrei rispondono in molti modi, di cui forse il più prezioso è l’umorismo. Quando l’Unione Sovietica era di fatto una prigione per i suoi cittadini ebrei, le battute erano numerose e pungenti, intrise di malinconia e ilarità allo stesso tempo. C'è quella dell'ufficiale dell'Armata Rossa che chiede a un ragazzo ebreo il nome di suo padre (“l’Unione Sovietica”) e di sua madre (“il Partito Comunista”) prima di chiedergli cosa vuole essere da grande? (“un orfano”). O quella del KGB che arriva a casa di un ebreo per arrestarlo a meno che non accetti di rinunciare a qualcosa a cui tiene. “Esther, tesoro mio”, dice l'uomo alla moglie, “il KGB è qui per te!” Mi piacerebbe tanto continuare, ma ho reso l’idea. Nei mesi successivi al pogrom di Hamas del 7 ottobre in Israele, gli ebrei si sono spesso rivolti all’umorismo come mezzo per elaborare il trauma causato dal peggior atto di violenza antisemita dai tempi della Shoah. Ci sono troppi esempi da citare, ma molti lettori avranno familiarità con “Rabbi Linda Goldstein”, un account fittizio su X/Twitter gestito dall’antisionista “Rabbino Capo di Gaza”, che giustappone magnificamente l’ossessione della sinistra per i micro-dettagli della politica dell’identità con la sfacciata omofobia e misoginia dei suoi alleati di Hamas. E spesso, come sottolineano molti commentatori, non c’è bisogno della parodia perché la realtà è parodia; a questo proposito, mi viene in mente la pretesa di una studentessa dottoranda della Columbia University, la quale voleva che “aiuti umanitari” entrassero nella Hamilton Hall, occupata la settimana scorsa da una folla pro-Hamas; la richiesta era  accompagnata dalla sua risentita affermazione secondo cui chiunque si opponga a tale azione ovviamente vuole che gli studenti “muoiano di fame e disidratazione”.

L'umorismo è facile da trovare, per due motivi. In primo luogo, l’antisemitismo è essenzialmente una forma di idiozia, e l’idiozia – come hanno dimostrato negli anni Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio, Steve Martin e Ricky Gervais – è divertente. In secondo luogo, c’è la bizzarra alleanza di rivoluzionari incalliti e brutali, ma autentici, in Medio Oriente, in America Latina e altrove, con i falsi rivoluzionari che indossano la kefiah e che evitano il glutine nei campus universitari americani. E anche questo è molto divertente. Tale leggerezza è particolarmente utile nell’affrontare situazioni altrimenti intollerabili e per non commettere errori, la situazione attuale è intollerabile.
Quando 20 anni fa emerse il movimento per colpire Israele con una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), il suo obiettivo finale era quello di trasformare lo Stato ebraico in quella sorta di paria che fu il Sud Africa dell’apartheid negli anni ’70 e ’80. Una condizione necessaria per raggiungere questo obiettivo era il passaggio del messaggio centrale del BDS –  ossia che Israele è un’entità razzista senza diritto a un’esistenza sovrana – nella consapevolezza generale. In larga misura, questo è già avvenuto. Nell'ultima settimana, ho visto le immagini di un addetto al banco del check-in della Delta Airlines in un aeroporto degli Stati Uniti e di un autista di autobus nella città inglese di Manchester che indossavano spille con la bandiera palestinese mentre erano al lavoro; ho letto la notizia che il principale quotidiano ebraico dei Paesi Bassi sta ora spedendo la sua edizione cartacea agli abbonati in buste semplici per non farli passare per ebrei; e ho osservato cartelli nei campus universitari americani d'élite che invitavano la popolazione ebraica israeliana, la maggioranza della quale sono mizrahim (ebrei emigrati in Israele dai Paesi arabi e musulmani) a “ritornare” in Europa. Uno degli slogan più radicali emersi durante la lotta contro l’apartheid sudafricana è stato “un colono, un proiettile”. Proprio questo messaggio viene ora trasmesso – verbalmente e attraverso i fatti – agli israeliani e alle comunità ebraiche di tutto il mondo. Giovedì scorso, il presidente di estrema sinistra della Colombia, Gustavo Petro, ha annunciato che avrebbe tagliato i rapporti diplomatici con Israele, una mossa calorosamente lodata da Hamas, dall'Autorità Palestinese e dal regime islamico in Iran. In un discorso pronunciato ad una manifestazione del Primo Maggio, Petro ha completamente fatto sua l’ossessione della sinistra palestinese, insieme alla fervente convinzione che la sconfitta del “sionismo” inaugurerà una nuova era di potere popolare.  “ Oggi il mondo potrebbe essere riassunto in una sola parola, che rivendica il bisogno di vita, di ribellione, di bandiera alzata e di resistenza”, ha dichiarato Petro. “Quella parola è 'Gaza', è 'Palestina', sono i ragazzi e le ragazze che sono morti smembrati dalle bombe”.  Petro, eletto nel 2022, è un vero rivoluzionario con l’esperienza di vita di uno di loro, avendo aderito all’organizzazione terroristica M-19 quando era ancora un adolescente ed essendo stato torturato per mano di ufficiali militari colombiani. Le sue parole hanno anche avuto una risonanza profonda nell’altra Columbia – l’università dell’ Ivy League di New York – dove i manifestanti pro-Hamas che giocano a fare la rivoluzione, mentre i loro genitori pagano tasse esorbitanti, hanno allestito un accampamento illegale di tende. Sono state apprezzate anche a Teheran, dove il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha lodato “la rivolta degli studenti, dei professori e delle élite occidentali a sostegno del popolo oppresso di Gaza”, mentre il portavoce del ministero degli Esteri Nasser Kanaani ha espresso soddisfazione per “il risveglio della società globale… riguardo la questione palestinese e la profondità dell’odio pubblico verso i crimini del regime usurpatore sionista e il genocidio sostenuto dall’America e da alcuni governi europei”. Ancora, questi sono esattamente gli stessi sentimenti espressi alla Columbia, all’UCLA, alla George Washington University e negli altri campus americani sconvolti dall’ondata di solidarietà con Hamas. A molti ebrei, tutto ciò sembrerà un fallimento colossale: un fallimento dell’educazione sulla Shoah, nella quale le comunità ebraiche sono state profondamente coinvolte per diversi decenni; l’incapacità di trasmettere accuratamente la vera natura della società israeliana al di là della caricatura “coloniale – insediamenti” promossa da gran parte della sinistra e da alcuni influencer di estrema destra; l’incapacità di mantenere relazioni costruttive con quelle altre minoranze in cui è diffusa la simpatia per Hamas e le sue atrocità, in particolare i musulmani americani, molti dei quali provengono da Paesi non arabi, e gli afroamericani. Forse l’aspetto più deprimente di tutti è rendersi conto che il dibattito e le discussioni sono infruttuose, anche perché il rifiuto di comunicare con i “sionisti” è diventato un articolo di fede nelle manifestazioni e nei raduni pro-Hamas. Tuttavia, allo stesso tempo, dobbiamo scrollarci di dosso il mito secondo cui queste manifestazioni sono un’espressione della “società civile”: individui e gruppi di volontari che si mobilitano per Gaza spinti dalla disperazione per le scene sanguinose avvenute in quel territorio. Da Mosca a Bogotà, da Ankara a Teheran, gli autoritari del mondo si rallegrano dell’opportunità di usare il linguaggio dei diritti umani nei confronti di occidentali ingenui. Piuttosto che persuadere, dovremmo concentrarci sulla sconfitta alla fonte. Ciò significa, nel caso della Colombia, esercitare pressioni sui legislatori statunitensi affinché impongano restrizioni commerciali e altre sanzioni al suo governo finché demonizzerà Israele, una democrazia e un fedele alleato americano, come uno stato canaglia. Ciò farà arrabbiare e alienerà ancora di più la sinistra, ma non abbiamo scelta. Tutto quello che possiamo fare è agire. E, di tanto in tanto, ridere.

 

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, scrive su Jewish News Syndacate 

takinut3@gmail.com