Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/05/2024, a pag. 1/9, con il titolo "Il coraggio della musica contro i regimi" l'editoriale del direttore Claudio Cerasa.
Claudio Cerasa
Il ritornello che amiamo fischiettare di più in questi giorni è molto simile a un famoso tormentone politico solo leggermente rivisitato (“Io sono Georgia, sono europea, sono la madre di tutte le battaglie anti putiniane”). Ma il Primo maggio, per qualche istante, il nostro tormentone del cuore è stato prontamente sostituito da un altro tormentone di cui ci eravamo già innamorati e il cui autore, mercoledì sera, ha riportato al centro del nostro cuore. Siamo a Roma, al Circo Massimo, sul palco del concerto del Primo maggio e succede che all’improvviso il monologo più coraggioso, più inaspettato e più sorprendente è quello che offre al pubblico non un sosia stanco di Antonio Scurati detto Toni, il wannabe Eugenio Scalfari detto Stefano Massini, ma un formidabile cantante che meriterebbe di essere invitato in tutte le università del globo terracqueo, non solo in quelle italiane. Lui si chiama Alberto Cotta Ramusino, tutti lo conoscono come Tananai, e mercoledì sera, poco prima di intonare una dei suoi testi più belli, “Tango”, testo che ha portato al Festival di Sanremo nel 2023, ha detto che voleva dedicare la canzone a una persona speciale: il rapper iraniano Toomaj Salehi. Salehi è un rapper di trentatré anni, è stato arrestato una prima volta nel 2021 e qualche giorno fa è stato condannato a morte dal regime iraniano, dal regime degli ayatollah, per via di un testo dedicato a Mahsa Jina Amini, la ragazza iraniana morta nel 2022 dopo essere stata arrestata dalla polizia morale a causa di un velo indossato non in modo conforme. Il monologo di Tananai dura pochi secondi e sarebbe utile proiettarlo in mondovisione: “Il prossimo pezzo è un pezzo che mi sento di dedicare a un cantante iraniano che è stato condannato a morte perché la sua musica non piaceva al regime in cui stava e quindi oggi ‘Tango’ è per lui”.
Non ci vuole molto a capire che messaggio dirompente possa essere dedicare in questo momento, su un palco prevalentemente progressista al centro del quale vi è la difesa dei diritti dei lavoratori, una canzone a un rapper condannato a morte da uno dei regimi sanguinari più ignorati dai professionisti della difesa dei diritti (lo stesso regime che finanzia i terroristi di Hamas e che finanzia coloro che vogliono spazzare via Israele dalla mappa geografica). Ma non ci vuole molto a capire che messaggio dirompente possa essere aver dedicato a un rapper iraniano condannato a morte dagli ayatollah (gli stessi, ma questo lo diciamo noi, che vogliono cancellare il popolo ebraico oltre a quello iraniano) proprio la canzone che Tananai aveva dedicato all’Ucraina. E in particolare alla storia d’amore da brividi di Olga e Maxim, due ragazzi ucraini separati dal conflitto (nella serata conclusiva di Sanremo, nel 2023, per capirci, il nostro eroe salì sul palco dell’Ariston con una rosa gialla e una blu). La strofa finale di ‘Tango’ la conoscete tutti: “Amore, tra le palazzine a fuoco / La tua voce riconosco / Noi non siamo come loro / E’ meglio, è meglio / E meglio che non rimani qui / Io tornerò un lunedì / Ma non è mai lunedì”. E’ possibile che a Tananai qualcuno consigli di dire al più presto qualcosa sul “genocidio” a Gaza (sul tema consigliamo di ascoltare Vasco: non farsi condizionare dalle anime belle). Ma al momento ci godiamo quello che abbiamo visto mercoledì al Circo Massimo: una canzone scritta per celebrare la resistenza ucraina, per mettere in luce l’orrore causato dal regime putiniano, dedicata a un rapper iraniano condannato a morte da un regime islamista per aver difeso in una canzone una ragazza diventata in Iran e fuori dall’Iran simbolo della difesa dei diritti delle donne contro i regimi oscurantisti. Cantanti che si battono a favore dei popoli oppressi dai regimi. Je suis Georgia, sì. Ma oggi je suis Toomaj e je suis Tananai.
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