'Soprattutto, non rispondete', hanno detto all’unisono 23/04/2024
Commento di Michelle Mazel
Autore: Michelle Mazel

'Soprattutto, non rispondete', hanno detto all’unisono
Commento di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
https://israel247.org/surtout-ne-pas-repliquer-disaient-ils-en-choeur-77145.html

Joe Biden presiede il Consiglio per la sicurezza nazionale, durante la crisi con l'Iran. Il grosso dello sforzo americano è consistito nel trattenere Israele dal lanciare una risposta all'aggressione subita. Tutti hanno sempre condannato Israele per le sue risposte "sproporzionate", ma lo stesso tipo di critica non vale quando a rispondere in modo abnorme è l'Iran.

Ma ce le ricordiamo queste critiche, così spesso reiterate, nei confronti dello Stato ebraico? In particolare, ritorsioni “sproporzionate” o uso “sproporzionato” della forza.  Curiosamente questi avvertimenti non erano rivolti alla Repubblica degli Ayatollah. È opinione generale, si diceva, che non si poteva non rispondere all'attacco contro una delle sue rappresentanze diplomatiche, in violazione delle convenzioni internazionali. Sorvoliamo sul termine rappresentanza diplomatica, poiché si tratta di un edificio che era solo una dependance del consolato iraniano a Damasco. Ricordiamo che le ambasciate israeliane sono state ripetutamente prese di mira deliberatamente dall'Iran. L'attentato più sanguinoso è stato senza dubbio quello avvenuto il 17 marzo 1992 a Buenos Aires. Una bomba esplose davanti all'ambasciata israeliana, uccidendo 29 persone e ferendone 242.  E veniamo a questa famosa proporzionalità. Un attacco attribuito  all'esercito israeliano provoca diverse vittime – non diplomatiche – e in particolare alti ufficiali delle Guardie rivoluzionarie. Ma cosa ci facevano lì? Erano venuti per coordinare gli sforzi di Teheran per sostenere Hezbollah e Hamas nella lotta che queste organizzazioni terroristiche stanno conducendo proprio contro Israele. Non sarebbe scorretto affermare che l’attacco  aveva lo scopo di contrastare in tempo delle attività ostili. Cosa che Thomas Friedman riconosce in un'intervista al New York Times: “dei guardiani della rivoluzione che si trovavano in un edificio annesso all’ambasciata iraniana a Damasco hanno incontrato nello stesso momento gli agenti. Uno di loro sarebbe stato responsabile della gestione di tutte le operazioni iraniane in Libano e Siria.”  Questa ovvia verità avrebbe dovuto spingere i Capi di Stato e i Ministri degli Esteri a consigliare all’Iran di non rispondere. L’hanno fatto? Sappiamo che il Ministro degli Esteri iraniano ne ha contattati diversi. Parallelamente, i servizi di sicurezza occidentali – e quelli israeliani – hanno notato attività insolite che suggerivano un attacco su larga scala. Ci dicono che gli Ayatollah hanno lasciato trapelare la notizia di proposito per dare a Israele il tempo di organizzarsi. La minaccia è stata presa abbastanza sul serio da indurre gli Stati Uniti a mobilitare una coalizione straordinaria, comprendente per la prima volta anche Paesi arabi, venuta a rafforzare gli altamente efficienti sistemi di difesa di Israele. Il risultato ? Tutti i missili, i razzi e i droni, trecentotrenta in tutto, sono stati abbattuti, senza causare vittime (solo una ragazzina beduina è rimasta ferita) o danni gravi. Un successo davvero incredibile, che ha sorpreso tutti. Se ha superato le speranze di Israele, rappresenta un fallimento colossale per l’Iran. Un simile sforzo per meno di niente? E  che nessuno venga a dirci il contrario. Ma la malafede di alcuni va ben oltre. Dato che l’attacco è fallito, hanno detto, perché reagire?                                                       Avremmo voluto che ci spiegassero la “proporzionalità” secondo cui la morte di qualche generale giustificherebbe la messa in pericolo di un intero popolo.

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