La figlia inutile Laura Forti
Guanda euro 19
Ci sono storie che ti attraversano anche se non sono la tua, il cui racconto è così potente da insinuarsi nella vita di ciascuno di noi, da aprire varchi, sollevare domande e mettere in discussione certezze. Ci sono autori che avvertono l’urgenza di scavare nella memoria della loro famiglia per dare un senso ad eventi inspiegabili, per riempire vuoti interiori, per fare pace con ricordi dolorosi, per sciogliere nodi e forse anche per “salvaguardare la propria esistenza”. In tal modo quella storia portata alla luce e condivisa con estranei, che sapranno farne tesoro perché consegnata “alle onde della lettura”, è in grado di fissare punti cardinali capaci di resistere al tempo.
E’ il caso dell’ultimo libro di Laura Forti, scrittrice, giornalista e drammaturga di talento, che con “La figlia inutile” appena pubblicato da Guanda torna alla narrativa autobiografica per calarsi nella storia della nonna Elena e trovare le tessere di una memoria familiare che ha voluto ricostruire con pazienza, consapevole del forte impatto emotivo che ne sarebbe derivato. “Comporre questo racconto…- scrive l’autrice - mi ha costretto a riaprire cicatrici, a visitare luoghi dove avrei preferito non tornare. A scegliere la compagnia dei morti invece di quella dei vivi”.
Dopo aver portato alla luce la storia del cugino, vittima della dittatura di Pinochet, nel libro “L’acrobata” (Giuntina) e aver cercato le tracce del padre biologico della cui esistenza ha saputo solo da adulta, raccontando quell’esperienza nel libro “Forse mio padre” (Giuntina), con “La figlia inutile” Laura Forti chiude il cerchio di una storia familiare che aveva ancora dei punti oscuri e di cui ha cercato “un’interpretazione soddisfacente”.
L’immagine di nonna Elena, la figlia inutile del titolo (nel prosieguo della trama capiremo perché) ci appare fin dalle prime pagine come una figura bizzarra, geniale che aveva imparato come una vera Dresner a cavarsela nelle occasioni più tremende ma di cui l’autrice avverte “un lato oscuro, una stonatura”.
Cosa nascondeva Elena, quella nonna di origini russe che celebrava con gioia le feste ebraiche e alla quale veniva affidata la giovane Laura, l’unica nipote a cui era stato affidato il compito di riannodare le radici ebraiche? L’autrice ci racconta con un linguaggio introspettivo dei pomeriggi trascorsi con Elena, di una solitudine profonda che le accomunava: la nipote per i continui dissidi in famiglia con un padre a lei estraneo, la nonna per un doloroso abbandono subito in tenera età. Perché Elena nata a Nancy nel 1908 da genitori fuggiti dopo un pogrom dalla Russia era stata lasciata in Francia presso la tata mentre la famiglia cercava una sistemazione a Milano. Una volta ricongiunta alla famiglia all’età di otto anni Elena si rivela una bambina ribelle, alla ricerca costante di affetto, la cui mancanza scava col tempo un vuoto profondo destinato a lasciare il posto a una natura capricciosa e autoritaria.
Alla figura della nonna l’autrice regala pagine intense nel primo capitolo “...stare con la nonna voleva dire entrare a far parte di una catena di energia, qualcosa mi collegava a livello profondo a un mondo invisibile abitato dai parenti scomparsi…” senza nasconderne tuttavia la natura bizzarra a cui cercava di porre rimedio con una “missione di salvataggio emotivo” ogni qualvolta la madre, ormai esausta dalle richieste continue di attenzioni, la spediva in visita da Elena.
Dinanzi alla tomba che contiene un’urna con le ceneri della nonna che, per una promessa non mantenuta, avrebbero dovuto essere sparse nelle fredde acque della Mosella in Francia, prende avvio una narrazione dal ritmo serrato in cui l’autrice con una scrittura raffinata che indaga nel profondo senza fare sconti a nessuno (neppure a se stessa) colma le crepe, attenua le fratture, scioglie i grovigli, fa riemergere ricordi risucchiati in un buco nero e quando occorre si abbandona a supposizioni con lo strumento della fantasia. Perché scrive Laura Forti “sta a noi riempire le tombe vuote, provare a immedesimarci nei defunti, colorare la memoria con l’unico strumento lasciato in eredità, l’immaginazione…”.
Chi erano i Dresner?
Laura Forti parte dalle “origini” e prima di tutto ci spiega che avere lo spirito dei Dresner, perfettamente incarnato dal bisnonno Giulio scappato dalla dittatura zarista perché aveva osato gridare “viva la libertà” dinanzi alle guardie cosacche, significava mostrarsi forti davanti alle difficoltà, non cedere ai sentimenti, inutili orpelli, ribellarsi all’ingiustizia, combattere e sopravvivere. Del bisnonno l’autrice ricostruisce la vicenda umana ripercorrendo con accurate ricostruzioni storiche le tappe che portarono la famiglia con la moglie Rosa e i figli, Pauline, Alberto ed Elena, “la figlia sbagliata, nata nel momento sbagliato” ad arrivare in Italia dopo un periodo in Francia, per ricominciare una nuova vita. Nel nostro Paese Giulio arriva in poco tempo ai vertici del Credito Italiano, si avvicina al sionismo ma solo “concettualmente”, entra in contatto con personalità influenti del Partito fascista negli anni in cui avvenne il delitto Matteotti, conosce Enzo Sereni e Nello Rosselli. In queste pagine l’autrice oltre a seguire le vicende della famiglia e in particolare di nonna Elena, della sua difficoltà di ambientarsi nel nuovo Paese, della sua indole ribelle che induce i genitori a farla studiare in collegio, allontanandola ancora una vota dall’ambiente familiare, offre un quadro interessante del contesto storico di quanto accadeva nel nostro paese prima del 1938 soffermandosi anche sulla composizione dell’ebraismo italiano suddiviso in quegli anni fra le correnti più assimilazioniste, quelle religiose e i sionisti veri e propri. Nel frattempo, nonna Elena, tornata dal collegio, viene fatta sposare con il giovane Alfredo, per “sistemare” come fosse una transazione economica quella figlia problematica. Elena, dal canto suo, inesperta e con una mentalità da bambina sente forte il desiderio di una famiglia sua e ben presto, a dispetto del marito che non voleva figli per seguire la sua carriera, diventa madre di Roberta (mamma dell’autrice) e di Wanda.
L’avvento delle leggi razziali scompagina ancora una volta l’esistenza dei Dresner:
la perdita del lavoro, della cittadinanza italiana e la crescente minaccia della persecuzione inducono Giulio e Rosa a seguire la figlia Paola che con il marito ha già raggiunto il Cile.
Elena, ancora una volta abbandonata dai familiari spariti oltreoceano, deve affrontare da sola con le figlie le persecuzioni razziali perché il marito, dopo il 1943, si nasconde con la madre presso amici fidati separandosi dalla moglie e dalle bambine che trovano rifugio in un luogo diverso, in pratica lasciandole “in balia degli eventi, sole nel pericolo, nella paura”.
Lasciamo al piacere del lettore scoprire, attraverso una narrazione coinvolgente, il percorso dei Dresner nel nuovo paese con una identità diversa e nuove sfide da affrontare e quello di Elena dopo la guerra, fra dissidi familiari, problemi di salute cha la lasciano delusa, amareggiata e svalutata come persona.
Nelle ultime pagine di questo splendido libro autobiografico l’autrice ci fa entrare nelle dinamiche più intime, quasi spirituali, del suo rapporto con la nonna e alla fine dopo aver ricostruito i fatti, analizzato i contesti storici, compulsato archivi, visionato fotografie, quelle preziose sensazioni che lo scorrere del tempo aveva sbiadito riemergono con forza: “il profumo della casa, l’odore delle lenzuola, il gusto sulla lingua dei cibi preparati”. Ma non solo. C’è anche la presa di coscienza che una corrente muta e misteriosa le univa perché entrambe avevano lo stesso disperato bisogno l’una dell’altra e del tempo trascorso insieme, “un’oasi di grazia e respiro”.
“Perché ci eravamo viste e riconosciute. Perché io le volevo bene e lei a me”.
La storia di nonna Elena che la nipote ci consegna con grande generosità è ora patrimonio di ogni lettore che potrà scegliere cosa conservare per sé e cosa lasciar andare ma del resto “Non è il destino di tutti i personaggi di carta volare oltre l’autore, atterrare su qualcuno che se ne prenda cura ed entrare sotto la sua pelle?”
Leggere “La figlia inutile” è stato un viaggio imperdibile in una memoria individuale e collettiva che rimuovendo l’oblio tiene saldo l’albero della nostra coscienza e ci permette di resistere ai venti più forti e alle circostanze avverse che, nei momenti oscuri, vorrebbero sradicarlo.