I rettori italiani pavidi imparino
Analisi di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio
Data: 09/04/2024
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: I rettori italiani pavidi imparino dal loro collega americano sotto scorta

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/04/2024, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "I rettori italiani pavidi imparino dal loro collega americano sotto scorta".

Informazione Corretta
Giulio Meotti
Former Yale College Dean Jonathan Holloway to lead Rutgers University |  YaleNews
Jonathan Holloway è il rettore afroamericano della Rutgers University, sotto scorta perché quando ci vuole ci vuole. Perché così si difende, in America, la democrazia israeliana 

Rutgers University, una delle migliori università statali d’America. Il rettore, Jonathan Holloway, afroamericano, è uno dei più famosi storici della schiavitù (il Mulino ha pubblicato la sua “Breve storia degli afroamericani”). Holloway ha avuto bisogno di una scorta della polizia per uscire in sicurezza da una riunione del municipio diventata la scena di un pandemonio dopo che gli studenti anti israeliani si sono rifiutati di lasciarlo parlare e lo hanno denunciato come un “sostenitore del genocidio” e un “sionista”. Anche gli studenti ebrei presenti all’incontro sono stati scortati fuori da un’uscita di emergenza. Studenti, con i volti coperti di kefiah, che sventolavano bandiere palestinesi, hanno gridato: “Tutti i sionisti sono razzisti”, “non vogliamo due stati, vogliamo il 48”, “C’è solo una soluzione: Intifada” e “Holloway, Holloway, non puoi nasconderti”. Due referendum studenteschi chiedevano alla Rutgers di interrompere gli investimenti con Israele e di porre fine al suo programma di scambio con l’Università di Tel Aviv, come sta succedendo da settimane in Italia. Ma in una lettera inviata alla comunità universitaria, Holloway ha affermato di non voler cedere alle richieste e di impedire all’assemblea studentesca di votare su questi temi. Nello stesso tempo, il rettore si è detto contrario alla rottura dei legami con Israele. Ma gli studenti della Rutgers non sono meno facinorosi di quelli italiani. Nel 2014 protestarono contro un intervento di Condoleezza Rice: nella mente collettiva del campus, la ex segretaria di stato era, nel migliore dei casi, “la collaborazionista di un guerrafondaio seriale”. Non meno facinorosi sono alcuni professori della Rutgers. Come Noura Erakat, professoressa associata di Studi africani, che si è unita a un seminario online a cui ha partecipato Ghazi Hamad, un leader senior di Hamas che ha dichiarato: “Israele dovrebbe essere cancellato dalla faccia della Terra. E’ uno stato animale che non riconosce alcun valore umano, un cancro che va debellato”. In questo clima, Holloway ha messo un argine all’antisemitismo accademico. In Italia, gli studenti pro Palestina hanno fatto irruzione al Senato accademico dell’Università di Torino e imposto ai professori il boicottaggio di Israele. Poi, sempre a Torino, a Milano, Bologna e in tante altre città, i collettivi studenteschi hanno occupato i rettorati e i Senati accademici hanno deciso di piegarsi a questa minoranza di studenti violenti. Ieri duecento tra docenti, assegnisti, dottorandi e tecnici dell’Università di Firenze hanno sottoscritto una lettera per chiedere “di non aderire al bando di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele pubblicato dal minisytero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale”. Occupato anche il rettorato dell’Università di Napoli. Luigi Ambrosio, direttore della Normale di Pisa, scrive: “La mozione approvata a maggioranza dal Senato accademico non interrompe nessuna collaborazione… non boicottiamo, e non chiediamo a nessuno di boicottare. Abbiamo chiesto al ministero degli Esteri di riconsiderare i bandi di cooperazione con tutti gli stati esteri… a partire dagli accordi Italia-Israele”. Neanche il coraggio delle proprie scelte. Vanno riconsiderati tutti i bandi di cooperazione con tutti gli stati esteri, ma uno, come diceva George Orwell, è “più uguale” degli altri: Israele. In Italia di Holloway non ce ne sono.

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