Netanyahu: su Rafah c’è la data dell’operazione
La guerra continua
Testata: La Repubblica
Data: 09/04/2024
Pagina: 3
Autore: Redazione de La Repubblica
Titolo: Netanyahu insiste su Rafah: C’è già una data per l’operazione

Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 09/04/2024, a pag. 3, la cronaca dal titolo "Netanyahu insiste su Rafah: C’è già una data per l’operazione"

Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il parziale ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza non implica la fine del conflitto. Anzi, l'offensiva contro Rafah, ultima roccaforte di Hamas, è già pronta e c'è anche una data fissata per l'inizio dell'operazione

C’è già «una data» per l’ingresso dei soldati israeliani a Rafah. Il premier Benjamin Netanyahu non ha rivelato quale sia il D-Day, ma nelle sue parole non è più questione di «se»: va avanti senza tentennamenti anche sul punto più controverso della sua agenda politica e militare, il più rischioso per i civili palestinesi intrappolati nella Striscia.

Sotto pressione interna (la destra oltranzista minaccia di far cadere l’esecutivo se il premier fermasse l’operazione militare a Rafah), Netanyahu tira dritto nonostante la ribadita contrarietà di Washington, il suo più importante alleato. Il Dipartimento di Stato Usa fa sapere di non aver ricevuto alcuna informazione sulla data, aggiungendo che Israele non ha presentato nemmeno un piano credibile per salvaguardare i civili. Senza il quale sarebbe un’ecatombe annunciata: a Rafah sopravvivono un milione e mezzo di persone.

Nel frattempo è su un altro tavolo che si tenta di trovare la via d’uscita, e stavolta potrebbe essere vicina. Le delegazioni inviate domenica al Cairo da Israele e Hamas — dove ad attenderli insieme ai mediatori di Qatar ed Egitto c’era il direttore della Cia, William Burns — hanno nelle mani una bozza in tre passi per fermare le armi nella Striscia. Su questa nuova bozza, targata Usa, Hamas ha preso tempo: la risposta deve tornare in clandestinità per essere valutata dal leader, Yahya Sinwar, e poi riemergere dalle nebbie. Gli Usa hanno chiesto che nel frattempo tacciano le armi per i tre giorni di festa dopo la fine del Ramadan, cioè da martedì. Netanyahu dice di avere già ricevuto un rapporto dettagliato: «Lavoriamo costantemente per i nostri obiettivi, primo fra tutti il rilascio di tutti gli ostaggi e la vittoria su Hamas. Questa vittoria richiede l’ingresso a Rafah e l’eliminazione dei battaglioni terroristici. Accadrà, e c’è una data», ha detto appunto il premier, che sa di dover tenere a bada l’ira di chi non accetterebbe alcuna mediazione.

Ma secondo fonti diplomatiche i passi avanti sarebbero concreti. Entrambe le parti avrebbero cominciato a limare le proprie posizioni. L’obiettivo sarebbe un percorso in tre fasi che culminerebbe nel rilascio di tutti gli ostaggi israeliani con un cessate il fuoco di lungo termine. Hamas otterrebbe il via libera al ritorno degli sfollati nel Nord di Gaza, monitorato da una forza araba che rileverebbe i controlli di sicurezza da Israele. La prima tappa sarebbe una tregua di sei settimane, con il rilascio di 40 donne e bambini in ostaggio scambiati con «un massimo di 900 prigionieri palestinesi». Persino gli aiuti alimentari, fino a 400 camion al giorno, sono parte delle trattative.

Ma le prime reazioni da Hamas sono caute o scettiche, sottolineando piuttosto le richieste non accolte come la fine del blocco intorno alla Striscia e il ritiro di tutte le forze armate israeliane. Punti sui quali per il momento Israele non è disposto a mediare, avendo promesso l’eradicazione di Hamas: Netanyahu non si fermerà finché non avrà la certezza che Hamas non controlli più la Striscia e non costituisca più una minaccia militare. Ci sono passi avanti concreti, invece, sugli aiuti: secondo il Dipartimento di Stato americano, Israele ha accettato di aprire un valico al nord di Gaza rendendolo operativo già questa settimana, mentre ieri sono entrati nella Striscia 419 camion di aiuti. È un sollievo in un disastro umanitario che ha già provocato la morte di più di 33mila palestinesi in sei mesi di conflitto, dopo l’attacco terribile di Hamas del 7 ottobre in cui furono uccisi 1.200 israeliani.

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