Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/04/2024, a pag. 1/9 con il titolo "Quella lettera è un manifesto: vogliono imporci le loro regole", l'analisi di Lorenzo Mottola.
Lorenzo Mottola
Tutto nasce da un’iniziativa di malinteso “buonsenso” e sta degenerando in una campagna ai confini della realtà, ovvero con gli studenti islamici di Milano che chiedono di chiudere università e scuole d’Italia nell’ultimo giorno di Ramadan, perfino in assenza di musulmani nelle classi.
Uno scenario che segue il copione dettato dall’islamologo britannico Bernard Lewis, che già nel 1990 spiegò che «il “politicamente corretto” (...) e il “multiculturalismo” sono un mix letale per l’Occidente» e vaticinò una terza invasione islamica nel conti nente europeo.
All’epoca e ancora oggi chi parla come Lewis in Italia rischia, nella migliore delle ipotesi, di passare per fanatico. Non solo i partiti di sinistra ma la stessa comunità religiosa di Pioltello – la scuola che per prima ha annunciato che avrebbe fermato le lezioni perle festività islamiche – si è schierata con il preside dell’istituto Iqbal Masih. Perché in fin dei conti si tratta solo di un giorno, in una scuola dove un’alta percentuale di ragazzi viene da famiglie musulmane. Il problema che non viene colto è che non ci troviamo di fronte a due mondi uguali, a due comunità determinate nello stesso modo a trovare un percorso di vita comune. L’islam è diverso. E, al contrario nostro, si espande.
È questione di numeri. Nel 1970 le moschee in Francia erano un centinaio, oggi sono più di 2.450, con un ritmo di quasi due nuove moschee a settimana negli ultimi anni. E in Italia rischiamo la moltiplicazione dei casi Monfalcone. Parliamo del Comune della provincia di Gorizia guidato dal sindaco leghista Anna Cisint, dove a fronte di una popolazione di 30mila abitanti si trovano 7000 fedeli musulmani. La Cisint racconta così la sua città: «Queste persone sembrano rifiutare l’integrazione e non rispettano norme, regole e principi del nostro ordinamento e delle nostre leggi. Ho avuto una conversazione con un imam qualche tempo fa che ha dichiarato apertamente che la sua comunità non è interessata all’integrazione, ma piuttosto alla sostituzione degli abitanti di Monfalcone». Un obiettivo non tanto folle, visti i tassi di natalità degli italiani. Nella città di cui parliamo il 65 per cento degli studenti è di fede islamica. Il futuro è chiaramente loro.
Il punto ora è comprendere cosa significherà vivere in un Paese con enclave a maggioranza islamica e fino a che punto vogliamo arretrare rispetto alle nostre abitudini. Un piccolo esempio: gli studenti musulmani del Politecnico di Milano, nella lettera diffusa ieri alla stampa, citano il caso della piscina di Limbiate, dove lo scorso anno la locale comunità orientale aveva deciso di organizzare una giornata per sole donne. Nei Paesi islamici non è consentito a maschi e femmine di nuotare nella stessa vasca, così come conosciamo le regole di abbigliamento per le signore che si recano in spiaggia. In Germania già da qualche annoi proprietari tedeschi hanno iniziato a separare le acque, nel senso di spedire uomini e donne in vasche differenti per non creare imbarazzi tra i bagnanti. E là dove non ci pensano i titolari, sono gli stessi musulmani a fare legge: a Berlino sono frequenti le risse scatenate da immigrati che non tollerano presenze femminili. A Limbiate, tuttavia, i gestori italiani della piscina hanno poi fermato tutto, spiegando che non avevano inteso quale fosse la volontà degli islamici. E oggi gli studenti milanesi – quelli che vorrebbero chiudere tutte le scuole – sottolineano che si è trattato di una mancanza di coraggio. Coraggio che invece a Pioltello non è mancato. Secondo loro.
L’avvenire delle nostre scuole è questo. Sempre come segnala Lewis: «In futuro i protagonisti globali saranno la Cina, l’India e la Russia, mentre l’Europa farà parte dell’occidente arabo, il Maghreb. Questo è sostenuto da migrazioni e demografia. (...) Secondo le attuali tendenze, al più tardi entro la fine del XXI secolo, l’Europa avrà maggioranze musulmane». Preparatevi.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it