Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/04/2024, a pag.1 con il titolo "Il partito della resa scende in campo " l'editoriale di Mario Sechi.
Mario Sechi
Lo spartiacque della politica interna è la guerra, il triplice fronte Kiev -Gaza -Suez è una formula che va letta come libertà di resistere -esistere -navigare. Su questi tre fili sospesi cammina il nostro futuro. Se ne vedono già i sinistri bagliori all’orizzonte, la festa della Liberazione il 25 aprile servirà a scoprire chi e quanti sono pronti a sventolare la bandiera bianca. Vedremo i «ma anche», le ambiguità, la demagogia. Danzano nel cimitero del disonore, eppure quello che accade sul fronte non permette a nessuno di ballare lo swing, servono decisioni nel mondo del possibile, non nel regno dell’utopia.
In Ucraina lo scenario si sta facendo sempre più difficile: l’esercito di Kiev è a corto di proiettili, di copertura aerea, di truppe da mandare al fronte. La Russia ha respinto facilmente la controffensiva ucraina fortificando le posizioni e aumentando l’attrito della guerra per arrivare all’attuale scenario di primavera -estate in vantaggio, cosa regolarmente avvenuta. Il logoramento ucraino deriva da molteplici fattori: da ritardi nel munizionamento, dall’incertezza della politica americana e europea (si vota) e, va detto, dalla condotta della guerra da parte di Zelensky. Il presidente dell’Ucraina ha licenziato capi militari e stretti collaboratori a getto continuo, mettendo a nudo l’incertezza strategica di Kiev, senza commenti ufficiali da parte degli alleati. Winston Churchill durante la Seconda guerra mondiale annunciò che la flotta britannica aveva affondato metà dei sommergibili tedeschi. L’ammiraglio Arthur Talbot parlando in privato con il primo ministro gli disse: «Signore, ne abbiamo affondati appena 9 su 57». Churchill rispose: «Ci sono due modi per affondare sommergibili in questa guerra. Possiamo farlo nell’Atlantico, ma anche in Parlamento. Il problema è che voi ci state impiegando il doppio del tempo». A volte il silenzio è d’oro, altre volte servono le bugie, il morale delle truppe e della popolazione va tenuto alto, il problema di Zelensky è che la guerra contemporanea è visibile, i satelliti mostrano chi avanza e chi arretra sul campo, non c’è una guerra sottomarina contro gli U-Boot tedeschi, ma una battaglia di fanteria e carri che ha bisogno di copertura dal cielo. Resistere all’invasione della Russia è un imperativo, il problema del terreno libero per l’avanzata della cavalleria corazzata di Mosca si risolve solo dando all’Ucraina armi, aerei da caccia, missili, una tattica di combattimento efficace e un obiettivo strategico finale (ancora non c’è) che va tradotto in una definizione concreta, sul campo, sul significato della vittoria e della sconfitta.
Il 25 aprile nelle piazze italiane vedremo sfilare il partito della resa che celebrerà la Liberazione negandone i valori, ribaltando la Storia, manifestando contro Israele e definendo «genocidio» la guerra a Gaza. Abbiamo visto in questi mesi l’antisemitismo uscire allo scoperto e crescere come una pianta carnivora. E qui va detto che - con o senza Benjamin Netanyahu alla guida del governo - gli israeliani hanno chiara la minaccia esistenziale, hanno (ri)visto con i loro occhi il progetto di sterminio del popolo ebraico da parte dei terroristi di Hamas, di Hezbollah e dell’Iran che muove i fili dalla nascita della Repubblica islamica nel 1979.
Teheran è il leader di un’alleanza composita, fornisce sostegno militare e finanziario a una rete su cui ha un’influenza variabile, soggetti diversi ma con un obiettivo comune: l’eliminazione degli Stati Uniti dal Medio Oriente e la distruzione dello Stato di Israele. Il conflitto di Gaza non è un’operazione militare come le altre, è il capitolo di una lunga guerra che è appena iniziata. Le impronte digitali dell’Iran (e della Russia che lo sostiene al punto da ricevere i leader di Hamas a Mosca) sono ovunque, gli attacchi sono impaginati in cronaca ogni giorno, i palestinesi hanno ancora in mano 133 ostaggi, di cui almeno 99 sarebbero ancora vivi. La guerra non finisce perché gli obiettivi dell’Iran e dei suoi alleati non lo permettono: ristabilire il potere di Hamas a Gaza, costruire nell’area della West Bank un altro fronte contro Israele, impegnare l’esercito di Gerusalemme in un lungo scontro nelle alture del Golan e al confine con il Libano, fino a eliminare la presenza americana in Siria e in Iraq. La Russia e l’Iran hanno un interesse comune, indebolire sempre di più gli Stati Uniti, innescare un’altra ritirata americana dopo quella in Afghanistan.
Contano di farlo facendo leva sulle debolezze dell’Occidente e dei suoi leader, fanno leva sulle fragilità delle nostre democrazie che surfano maldestramente sulle ondate emotive dell’opinione pubblica. I dittatori, i nemici della libertà, hanno un grande alleato, l’appuntamento è in piazza il 25 aprile.
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