Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 02/04/2024, a pag. 26, con il titolo "Aleggia lo spirito di Monaco" il commento di Bernard-Henri Lévy.
Tra tutti i numerosi commenti che lo spaventoso attentato alla Crocus City Hall di Mosca ha ispirato, vi è un punto che non è stato sottolineato: sono anni — o forse è sin dall’inizio — che Putin ha fatto del compromesso storico con l’islamismo uno dei pilastri della sua geopolitica.
Dobbiamo forse scorgere nei recenti eventi un’ironia della Storia? Il macabro paradosso di una piaga che si sta rimarginando? L’ironico intensificarsi della tragedia che un atto terroristico di questa portata rappresenta, sempre e ovunque?
È un dato di fatto. C’è il sostegno ad Hamas — organizzazione i cui dignitari, non lo si ricorderà mai abbastanza, sono stati ricevuti con tutti gli onori a Mosca sia prima che dopo il 7 ottobre. C’è l’asse con l’Iran, che non contento di essere il patrocinatore di Hamas era anche stato l’alleato e il braccio armato della Russia nella lunga guerra combattuta in Siria, mano nella mano con Bashar al-Assad, e che ha causato quattrocentomila morti.
C’è il patto con il diavolo con Kadyrov, capo di quel che resta della Cecenia dopo le guerre che nei primi anni del Duemila le sono state inflitte dal Putin dei primi anni, e i cui soldati urlano «Allah akbar» ogni volta che tornano a sottrarre una postazione agli ucraini.
E c’è, soprattutto, quel famoso progetto “eurasiatico” che gli ideologi del putinismo oppongono all’Europa democratica, liberale, aperta e — come dicono loro — “talassocratica”. La bussola di questa Eurasia, spiega Alexandr Dugin, deve essere la grande alleanza (opposta a quella che egli chiama «l’eresia latina») dell’ortodossia, dell’islamismo e dei loro rispettivi messianismi.
Di questo ribaltamento della Storia, che sembra produrre in lui uno sconcerto simile a quello che gli aveva suscitato un anno fa il tradimento di Prigozhin, Putin si è servito prontamente per fabbricare, in tutta fretta, una “realtà alternativa” che imputa la responsabilità del massacro a Kiev.
Ma a pagare il prezzo di questi errori di calcolo è il popolo di Mosca, con i suoi centotrentanove morti e centottantadue feriti. E ancor più caro è il prezzo pagato dal popolo ucraino, che da Leopoli a Kharkiv ha vissuto una delle peggiori giornate di bombardamenti e terrorismo dall’inizio dell’invasione del 24 febbraio 2022.
Il mondo si risveglia con due nemici. Ma pensare che le loro strade si dividono a Mosca sarebbe un errore. Paul Claudel, nel suo Diario , alla data del 21 maggio 1935, nota che “si crea al centro dell’Europa una specie di islamismo”. Scrive islamismo, naturalmente, non “islam”. Ma un islamismo di cui egli fu il primo, con la sua intelligenza di poeta, a sospettare l’affinità con il fascismo.
Insomma: malgrado l’attentato di Mosca, siamo sempre là. Per la Francia, gli Stati Uniti e le anime libere del mondo, quella contro Putin e contro iljihadismo è la stessa lotta, e conviene battersi su entrambi i fronti con pari energia. Non volerlo capire, distinguere tra nemico principale e nemico secondario o pensare di allearsi con l’uno per meglio sconfiggere l’altro significa non comprendere nulla — né del nostro mondo, né delle lezioni dei nostri illustri antenati.
Esistono due spiriti di Monaco. Quello che vuole “avere la pace”, che non sa che la pace non è semplicemente qualcosa da “avere”, ma una costruzione difficile e laboriosa, a fronte di un avversario generalmente insaziabile. E che dimentica, inoltre, che non esiste alcuna vera politica se non quella che si fonda sulla vecchia idea di onore, di cui in Europa non si sentiva più parlare dai tempi di Churchill e de Gaulle.
Ma c’è anche quello che non sa più contare sino a due; che, senza alcuna vergogna, vuole correre il rischio assai improbabile di “morire per il Donbass” a patto che non gli si chieda di doversi preoccupare anche della sconfitta militare di Hamas; e che, lo ripeto, si ostina a non vedere che Israele e l’Ucraina stanno combattendo, per conto proprio e per conto nostro, la medesima battaglia. In entrambi i casi, siamo fuori strada.
Ed è la stessa memoria da pesce rosso a far sì che, mentre scrivo queste righe, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sanzioni Israele, e che incoraggia Zelensky ad accettare la perdita della Crimea.
Quanto a coloro che obiettano che nulla di tutto ciò ha un senso, che fare confronti non è mai giusto e che ogni situazione è il prodotto di uno specifico contesto, essi confondono due cose: la Storia, che presa nello scorrere del tempo non assomiglia mai a se stessa; e il Male, che ha la duplice caratteristica di moltiplicarsi (il mio nome è Legione…) e di ripetersi (non vi è nulla di più ripetitivo, iterativo, insistente dell’azione del Male in questo mondo…).
«Ah! Gli sciocchi! Se solo sapessero...», mormorò Daladier quando, arrivando a Le Bourget in compagnia di Saint-John Perse, vide che non era accolto con un lancio di pomodori, ma di fiori. Oggi, però, sappiamo. E cedere sull’uno o l’altro dei due fronti sarebbe un errore irreparabile.
(Traduzione di Marzia Porta)
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