Gallant negli Usa
Cronaca di Andrea Nicastro
Testata: Corriere della Sera
Data: 25/03/2024
Pagina: 9
Autore: Andrea Nicastro
Titolo: Piani per Rafah, Gallant negli Usa. Ma la tregua resta ancora lontana

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/03/2024, a pag. 9, con il titolo "Piani per Rafah, Gallant negli Usa. Ma la tregua resta ancora lontana" la cronaca di Andrea Nicastro.

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Andrea Nicastro

Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano (a destra) incontra il suo omologo americano Llodyd Austin. Fra Usa e Israele è crisi. Biden, avvicinandosi le elezioni, ma soprattutto la sua vicepresidente Kamala Harris, vogliono a tutti i costi impedire l'offensiva israeliana a Rafah. 

Tel Aviv Il ministro della difesa israeliana Yoav Gallant dovrebbe atterrare oggi a Washington. In borsa ha i piani per l’attacco su larga scala di Rafah, l’ultimo pezzetto della Striscia di Gaza non ancora attraversato dai carri armati di Tel Aviv. Li discuterà con il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il capo della Cia William Burns reduce dal Qatar dove ha fatto da mediatore sul cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri fra Israele e Hamas. La vice presidente americana Kamala Harris, non ha aspettato il parere dei colleghi, perché più che militare la questione di Rafah è ormai politica, una frizione senza precedenti tra Washington e Tel Aviv.

«Ho studiato le mappe e ho capito che se Israele decidesse di attaccare Rafah sarebbe un grande errore. Quella povera gente — ha detto in un’intervista ad Abc riferendosi ai palestinesi — non avrebbe un posto dove rifugiarsi. Stiamo parlando di un milione e mezzo di persone che sono lì perché gli è stato detto di andare lì. In caso di attacco non posso escludere nulla» sulla reazione Usa nei confronti di Israele. Dello stesso tenore anche la telefonata del presidente francese Macron al premier Netanyahu. «Siamo contro l’attacco a Rafah, anche perché spostare forzatamente civili è un crimine di guerra».

Al giorno 168 di guerra Israele è sempre più isolato. Le oltre 32 mila vittime, i 70 mila feriti, le distruzioni massicce lasciano l’impressione di una «punizione collettiva» esagerata. Alcuni democratici Usa premono sulla Casa Bianca perché blocchi la fornitura di armi all’alleato. Secondo l’Onu entro due/tre settimane i due milioni di gazawi cominceranno a morire di fame al ritmo da carestia. Eppure il governo Netanyahu ha deciso ieri di chiudere l’accesso Nord alla Striscia ai convogli umanitari. «È oltraggioso — ha protestato il responsabile degli aiuti Onu Philippe Lazzarini — che rende esplicita la volontà di impedire aiuti salvavita durante una carestia creata»dall’ostruzionismo israeliano.

Netanyahu però vuole la «completa eliminazione di Hamas», l’organizzazione responsabile dell’attacco terroristico del 7 ottobre. Le speranze per un cessate il fuoco sono flebili. La notizia positiva (fonte Jerusalem Post) è che Israele avrebbe accettato la proporzione proposta dagli Usa per lo scambio tra gli ostaggi israeliani e i detenuti palestinesi. Manca l’ok di Hamas, ma sarebbe comunque un dettaglio. Non c’è intesa sui nomi dei palestinesi da scarcerare, sulla tempistica tra rilascio e cessate il fuoco e sul punto principale: Hamas è disponibile a disfarsi degli ostaggi solo in cambio del ritiro israeliano, Tel Aviv esige di mantenere il controllo militare per impedire la rinascita di Hamas.

Solo ieri è finita la seconda battaglia all’ospedale di Al Shiva, teoricamente già in mano israeliana da 4 mesi. Le Forze di Tel Aviv sostengono di aver arrestato oltre 400 sospetti e ucciso 170 terroristi, sequestrato armi e diversi milioni a disposizione degli estremisti. Hamas nega. Nel frattempo, però, un’ala del nosocomio è stata distrutta, 5 medici uccisi. Sotto attacco ieri sera altri due ospedali.

 

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