Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/03/2024, il commento di Anna Zafesova a pag. 21, con il titolo "Russia, dissidenti silenziati ma la speranza è viva".
Anna Zafesova
In Russia sono tornate le code. La scomparsa del celebre fenomeno tipico del socialismo sovietico – file di persone in paziente attesa per ore per qualunque bene o servizio, come testimonianza vivente dell’inefficienza del sistema – era stata considerata una grande vittoria, la misura della riuscita perlomeno economica della nuova nazione postcomunista.
Eppure, le settimane che hanno preceduto le cosiddette elezioni presidenziali di Vladimir Putin sono state segnate da lunghe code. Prima, le file di elettori che volevano apporre la loro firma per il candidato pacifista Boris Nadezhdin, a cui il Cremlino ha impedito di correre. Poi, le code chilometriche per rendere omaggio alla tomba di Alexey Navalny. Ieri, gli elettori russi all’estero sono rimasti per ore in attesa davanti alle ambasciate, e code si sono formate davanti a molti seggi delle grandi città in Russia, intorno alle 12, l’ora in cui i critici di Putin si erano dati appuntamento per mostrare di esistere ancora. Ma le code si sono formate anche in molti seggi dove erano stati stipati gli elettori organizzati dal regime, che ha sentito la necessità di appropriarsi di questo fenomeno inedito.
Ovviamente, nulla di quello che si è visto ieri in Russia – dalle code ai seggi alle urne incendiate, alle decine di fotografie di schede annullate con scritte «No alla guerra», «Putin assassino» e «Viva Navalny» che sono finite in rete – poteva incidere sul risultato finale. Lo scopo della manifestazione “Mezzogiorno contro Putin”, indetta dall’opposizione, era molto più elementare: mostrare di esistere, lanciare un segnale agli impauriti e agli indecisi, rovinare l’immagine di unanimità trasmessa dalla propaganda governativa. Una battaglia per far vacillare le elezioni Potiomkin e produrre una dissociazione cognitiva.
La decisione del Cremlino di offrire al mondo un risultato plebiscitario che non vuole nemmeno sembrare verosimile – soprattutto nei due indicatori che più di ogni altro potevano nascondere un voto di protesta, il numero delle schede invalidate e il numero dei voti per il meno guerrafondaio dei candidati, Vladislav Davankov – appare in stridente contrasto con le code. È naturalmente impossibile quantificare il numero dei votanti in coda, né si può conteggiarli necessariamente come partecipanti consapevoli al flashmob dei seguaci di Navalny. Ma la coda in Russia è sempre segno se non di protesta, di inquietudine.
Le code – per il detersivo, i libri, lo zucchero, la vodka – hanno fatto naufragare la perestroika, certificando il fallimento del socialismo al quale Mikhail Gorbaciov aveva tentato troppo tardi di dare un volto umano. La rivoluzione contro gli zar è nata nelle code per il pane, nella Pietrogrado del 1917. Le code al primo McDonald’s moscovita – contestualmente alla sparizione della fila davanti al mausoleo di Lenin in piazza Rossa – erano diventate la testimonianza di una scelta non soltanto nei consumi. Le code alla frontiera russa, nel 2022, hanno dato la misura del consenso dei russi alla guerra, e le file ieri davanti alle ambasciate – dove, a quanto pare, ha trionfato lo sconosciuto Davankov – rendono definitiva l’esistenza di una Russia altra, quella in esilio, che ieri a Berlino ha accolto con un’ovazione Yulia Navalnaya.
Segnali che vanno oltre la rappresentazione dei dissidenti liberali come una esigua minoranza che sogna la rivoluzione nei salotti europei e su YouTube. Il problema sarà dare a questo scontento una forma che vada oltre le code, ai seggi o alle tombe, sempre che il governo le tolleri ancora.
Il risultato ufficiale, con un’affluenza record nella storia delle elezioni in Russia, e percentuali di sostegno che in molte regioni russe hanno superato il 90%, mostra infatti che Putin controlla totalmente la macchina dello Stato, e che i suoi burocrati sono pronti a scrivere nei protocolli dello spoglio qualunque numero (anche perché i governatori meno zelanti verranno probabilmente redarguiti e sostituiti).
È una macchina perfetta, ora che è indifferente anche al riconoscimento di regolarità formale degli osservatori internazionali, e potrà regalare a Putin alle prossime presidenziali del 2030 anche percentuali superiori del 100%, se richiesto. È evidente che il premio per chi fa funzionare questa macchina sarà beneficiarne insieme a Putin: le ultime elezioni locali alle quali avevano vinto dei candidati invisi al potere risalgono al 2020, ed è chiaro che queste debolezze non verranno più concesse. Il voto è un potente indicatore degli umori popolari, perfino per i dittatori.
Il fenomeno delle code, e il sorprendente Davankov, che in molte grandi città ha conquistato un inaspettato secondo posto, mostra – come Nadezhdin prima di lui – quanto anche un minimo spiraglio di apertura possa trasformare anche uno sconosciuto per nulla carismatico in una speranza, e quindi in una minaccia.
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