Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un suo articolo del 13/03/24, dal titolo "Non saremo complici, non taceremo".
Tornare da un breve soggiorno in Israele equivale a ritrovarsi in una sorta di universo parallelo totalmente stravolto. Ovviamente in Israele si piangono i morti e i caduti, si vive nell’ansia per i soldati al fronte, si assiste sbigottiti e impotenti alle tragiche conseguenze umanitarie della guerra scatenata a Gaza da Hamas, si resta senza parole di fronte all’ondata di odio antiebraico che impazza nel mondo. Ma ciò che domina in assoluto i sentimenti e i pensieri della collettività in Israele è l’angoscia per la sorte degli ostaggi. Dall’aeroporto a ogni singola fermata d’autobus, dall’università ai bar e giardini pubblici, dalla biblioteca nazionale alle auto e abitazioni private: dappertutto, letteralmente dappertutto si incontrano i volti e i nomi degli innocenti sequestrati e deportati a Gaza da una banda di sanguinari tagliagole, stupratori e assassini, che trattengono questi esseri umani in condizioni disumane e li usano in modo ripugnante come “merce” di scambio per ricattare un intero paese, in aperta violazione di ogni più elementare norma etica e giuridica. È un orrendo crimine che si consuma giorno dopo giorno, ora dopo ora: un’atrocità che è in atto in questo preciso momento, mentre scriviamo e mentre leggete. Ed è ciò che sta alla base di tutto. Tutti sanno – in Israele, ma anche fuori da Israele – che il rilascio degli ostaggi, immediato e senza condizioni (come ha ordinato anche la Corte Internazionale di Giustizia) farebbe finalmente cessare le uccisioni, i ferimenti, le sofferenze, le carestie, gli sfollamenti. La guerra. Dopo pochi giorni trascorsi in Israele, i volti degli ostaggi, pur così numerosi, diventano famigliari: li ritrovi ad ogni angolo di strada, impari a riconoscerli, cerchi di scacciare il pensiero di ciò che stanno subendo. Poi torni in Occidente e degli ostaggi non c’è più traccia: cancellati. Uno dei più efferati e ignobili crimini, in atto in questo preciso momento, motivo e causa della guerra e del suo protrarsi, è completamente rimosso, dimenticato. Si parla del 7 ottobre – quando ci si ricorda di menzionarlo, per sembrare equanimi – come di un evento passato e circoscritto, affrettandosi ad aggiungere che in ogni caso non può giustificare questo e quello. Ma il 7 ottobre non è passato, non è mai finito. Il 7 ottobre è in corso: è in corso per gli ostaggi, è in corso per la guerra che i terroristi prolungano all’infinito rifiutandosi di rilasciare gli ostaggi e deporre le armi. Il 7 ottobre non è finito quel giorno perché il 7 ottobre significa che, per gli israeliani, è letteralmente impossibile vivere in intere regioni del sud e del nord del paese. Potenzialmente, per loro significa non poter vivere in ogni parte del paese: che è esattamente l’obiettivo che si proponevano e si propongono Hamas, Jihad Islamica, Hezbollah, Iran e molti altri. Compresi i tanti che sbraitano “dal fiume al mare”. In Occidente si discetta con aria saputa di “rabbia” israeliana, reazione “sproporzionata”, persino di “vendetta” e “disumanizzazione”. In Israele si pensa solo, con straziante sofferenza, a liberare gli ostaggi e mettere in sicurezza il paese. Gli israeliani non si capacitano che un corteo “pacifista” possa coprire di insulti e minacce un ragazzo che chiede di liberare Gaza da Hamas; che una manifestazione di donne per l’Otto marzo possa cacciare a male parole una ragazza perché chiede di condannare anche gli stupri di Hamas. Come potrebbero? Chi è che disumanizza? Chi è che ha perso ogni bussola morale? Un divario totale: un universo parallelo e sconvolto, drammaticamente incapace di additare i veri responsabili del disastro. Il 7 ottobre non è un fattaccio accaduto cinque mesi fa. Il 7 ottobre è oggi. Ed è domani, se la spietata determinazione genocida che l’ha animato non verrà debellata. Gli appelli per il cessate il fuoco che non menzionano nemmeno gli ostaggi, né la garanzia concreta che il 7 ottobre non possa più ripetersi, sono peggio che inutili: sono un insulto e una minaccia. Promuovono l’agenda di Hamas e negano il diritto d’Israele a difendersi. A Gaza non sono tenuti in ostaggio “solo” 130 innocenti: è tenuto in ostaggio un intero paese. Un paese che – con questo o qualunque altro governo – non ha scelta: deve porre fine al calvario degli ostaggi e alla barbarie del 7 ottobre; deve eliminare la minaccia che incombe, oggi e domani, sulla sua stessa possibilità di vivere. Su un muro di Tel Aviv abbiamo letto la scritta: “tacere è un crimine di guerra”. Concordiamo. Tacere degli stupri, tacere degli ostaggi, tacere degli stupri degli ostaggi è un crimine. E no, noi non saremo complici: non taceremo.
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