Trasformare le atrocità del 7 ottobre in atti di resistenza? Perché no?
Analisi di Michelle Mazel
E’ successo in Francia, la scorsa domenica, era il 3 marzo. A cinque mesi dal tragico sabato di ottobre, una tavola rotonda riunisce un pubblico selezionato. La Signora Judith Butler, filosofa americana di chiara fama (?), pioniera degli studi di genere nelle università americane, titolare di una cattedra di Retorica e Letteratura comparata a Berkeley, non potrebbe essere più chiara: “Noi possiamo avere posizioni diverse su Hamas come organizzazione politica così come sulla resistenza armata. Ma penso che sia più onesto, e storicamente più corretto, affermare che la rivolta del 7 ottobre sia stata un atto di resistenza armata. Non è un attacco terroristico, non è un attacco antisemita: è stato un attacco contro gli israeliani. Quella del 7 ottobre è stata una rivolta nata da una situazione di sottomissione, e contro un apparato di Stato violento. Ora, siamo chiari: possiamo essere a favore o contro la resistenza armata, pro o contro Hamas, ma mettiamoci almeno d'accordo sul termine ‘resistenza armata’, e poi potremo discutere se è giusto, se hanno fatto quello che andava fatto, o se ci sono altre strategie.” Parole, racconta Le Figaro, accolte “dagli applausi di un pubblico innamorato, tra cui tre deputati della France Insoumise che passeranno alla storia per le ragioni sbagliate: Thomas Portes, Danièle Obono e Younous Omarjee.” Solo poche e rare voci si sono espresse contro questa presentazione dei fatti. Tanto da suscitare l'indignazione di Révolution Permanente, un sito che “tratta notizie politiche e lotte nazionali e internazionali con un punto di vista scontato: dalla parte dei lavoratori, dei giovani, delle donne (!) e delle persone LGBT, dei quartieri popolari e di tutti gli sfruttati e gli oppressi”. Con il titolo “Judith Butler attaccata e minacciata per il suo sostegno alla Palestina, solidarietà!” scrive: “In seguito alla trasmissione online di questa conferenza, diversi media e personalità hanno attaccato la filosofa americana. Quest’ultima è accusata in particolare di apologia del 7 marzo per aver spiegato chiaramente che l'attacco doveva essere inserito nel contesto della guerra coloniale intrapresa da Israele contro i palestinesi e considerato ‘un atto di resistenza armata’.” E’ successo in Francia dove il culto della Resistenza è ancora vivo, e dove ancora oggi vengono venerati l’eroismo e gli atti di coraggio dei soldati dell’”esercito ombra” che salvarono l’onore del Paese. In ogni città, quasi in ogni villaggio, si possono trovare modeste targhe dedicate alla memoria di un figlio del luogo caduto nella lotta contro l’ occupante tedesco. Quelli non avevano attaccato donne o bambini indifesi. Avremmo voluto sentire una condanna unanime di questo ignobile tentativo di qualificare come “combattenti della resistenza” dei terroristi che hanno perso ogni traccia di umanità.
Michelle Mazel