Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/03/2024, a pag. 10, l'analisi di Boualem Sansal intitolata "Boualem Sansal, la battaglia di un uomo contro il fondamentalismo musulmano" tradotto da Giulio Meotti
Raramente abbiamo visto nella stessa persona un tale contrasto tra una voce dolce, quasi impercettibile, e dei discorsi così combattivi: questo è Boualem Sansal, un uomo in rivolta ma tranquillo. Una tranquillità apparente; perché quando si inizia ad ascoltarlo emerge un’angoscia. Lo scrittore assomiglia a uno di quegli informatori che non ne possono più di lanciare l’allarme, alla luce di una realtà che ogni giorno gli dà ragione. È quello che ci ha colpito anche in questo pomeriggio di fine gennaio, quando lo abbiamo incontrato negli uffici della sua casa editrice, Gallimard. Sansal ha appena pubblicato un romanzo dal titolo evocativo: “Vivre: le compte à rebours”, una sorta di apocalisse in cui restano solo 780 giorni di vita. Come degli “eletti”, alcuni esseri umani sono chiamati a salire su un’astronave. Lo scrittore sceglie la distopia o la fantascienza per decifrare la nostra epoca e i suoi fallimenti. Non è cambiato molto da quando lo abbiamo incontrato per la prima volta nel 1999, quando ha pubblicato il suo primo romanzo, “Le Serment des barbares”: criniera grigia, capelli lunghi tirati indietro e raccolti in un codino, occhiali piccoli e rotondi, ancora snello – si dimentica regolarmente di mangiare. Boualem Sansal è una voce costante che ha finito per ritrovarsi faccia a faccia con la verità: da decenni grida contro il fondamentalismo. Già in “Le Serment des barbares”: il suo testo non era altro che un avvertimento, un’accusa virulenta contro l’Algeria degli islamisti e del Fln. All’epoca, in pochi denunciavano la deriva omicida in nome di Dio e un governo, quello algerino, che chiudeva gli occhi. E Sansal era un insider: all’epoca alto funzionario, era il numero due del ministero dell’Industria. Insomma, con quel libro sono iniziati i suoi guai, e il successo non ha aiutato i suoi affari. Gallimard aveva accettato quel manoscritto proveniente dall’Algeria firmato da un autore sconosciuto. L’incipit lascia il segno: “Il cimitero non ha più quella serenità che un tempo incuteva rispetto, placava il dolore ed esortava a una vita migliore. È una ferita aperta, una baraonda insanabile; scavano con le pale meccaniche, seppelliscono con le catene, ammassano corpi a perdita d’occhio. Le persone muoiono come mosche, la terra le inghiottisce e nulla ha senso. In questo giorno, come nei precedenti, vengono seppellite nuove vittime del terrorismo. Che dilaga. Questa animosità non ha un nome, in realtà. È una guerra, se volete; una furia lontana e allo stesso tempo vicina; un’eresia assurda e feroce che inventa progressivamente le proprie convinzioni e i propri piani (...)”. La sua scrittura era tanto più sorprendente in ragione della sua formazione scientifica: era stato ammesso all’École nationale polytechnique di Algeri, dove, da giovane scienziato dotato, aveva scelto l’elettromeccanica – ha scritto un libro sulla combustione dei turboreattori! Questo genere di traiettorie non rappresenta un’eccezione in Algeria; Rachid Mimouni, il suo migliore amico, morto nel 1995 e che lo ha incoraggiato a scrivere, ha studiato economia prima di diventare un grande scrittore. Mimouni ha pubblicato “De la barbarie en général et de l’intégrisme en particulier”, era il 1992...Oggi, l’opera di Boualem Sansal, 74 anni, è forte di una ventina di libri, tradotti in tutto il mondo – si sa che l’Accademia del Premio Nobel lo tiene d’occhio. È la sua duplice dimensione a essere attraente: letteraria e impegnata. Quando lo si incontra, quest’uomo gentile e sorridente non parla mai di coraggio, eppure è la prima parola che viene in mente: critica l’islamismo e l’Algeria pur continuando a vivere vicino ad Algeri, a Boumerdès. Francia e Germania gli hanno offerto l’asilo. Ma lo ha rifiutato. Per colpirlo, le autorità algerine hanno prima preso di mira la moglie, insegnante di matematica, impedendole di lavorare. Poi gliel’hanno fatta pagare cara costringendolo a dimettersi dal suo incarico di direttore generale dell’Industria in condizioni rocambolesche che Sansal ricorda ancora con sconcerto – fu licenziato in modo non ufficiale ma continuò a scalare la gerarchia degli alti funzionari pubblici! È senza dubbio per questo che le sue storie a volte assumono un’aria kafkiana o orwelliana, autori che rilegge costantemente. La lotta di quest’uomo contro il fondamentalismo ha origini lontane. Da giovane padre, sposato con una donna ceca conosciuta durante un viaggio organizzato tra i due paesi socialisti, viene a sapere che sua figlia è costretta a frequentare le lezioni di religione nella moschea di Boumerdès, senza che i genitori siano informati. Da quell’episodio, non ha mai smesso di prendere posizione contro una religione trasformata in un’ideologia mortifera. Ha pubblicato molti libri che illustrano questo spirito combattivo. Lo scrittore, arrivato tardi sulla scena letteraria, confida: “Ho iniziato a scrivere come se indossassi una tenuta da combattimento”. Viene in mente il suo “Gouverner au nom d’Allah” (2013), un saggio incisivo dal sottotitolo esplicito: “Islamisation et soif de pouvoir dans le monde arabe”. Il suo romanzo “Le Train d’Erlingen ou la Métamorphose de Dieu” (2018) non diceva altro, spiegando che l’Europa, timorosa nei confronti dell’islamismo, si stava arrendendo ad esso su tutto o quasi.
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