Hamas, ricatto sugli ostaggi
Commento di Pietro Senaldi
Testata: Libero
Data: 04/03/2024
Pagina: 11
Autore: Pietro Senaldi
Titolo: Hamas ricatta ancora con gli ostaggi

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 04/03/2024, a pag.11, con il titolo "Hamas ricatta ancora con gli ostaggi" il commento di Pietro Senaldi.

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Pietro Senaldi

Israele offre la tregua per 40 ostaggi. Il capo di Hamas tratta al Cairo
Ismail Haniyyeh, il capo politico di Hamas sta conducendo il negoziato sugli ostaggi al Cairo, dove continua a ricattare Israele

Pagare soldi, vedere cammello. La frase veniva rivolta dai cammellieri arabi alle troupe cinematografiche occidentali, che erano solite noleggiare i taxi del deserto per le loro riprese e dileguarsi prima di saldare il conto. Un detto che sta benissimo nella trattativa, saltata ieri, tra Israele e Hamas per la tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi. La liberazione dei rapiti per lo Stato Ebraico è il punto di partenza per sedersi al tavolo ma i terroristi palestinesi non giocano a carte scoperte.
Quanti sono gli israeliani sequestrati il 7 ottobre attualmente nelle loro mani? Quanti sono i vivi, quanti i morti, quanti cadaveri si possono recuperare? A ogni attacco Hamas fa sapere che qualche ostaggio ha perso la vita, ma non dice chi, né come é morto. È una partita a poker nella quale i terroristi si rifiutano di mostrare le carte anche dopo che gli israeliani hanno pronunciato il fatidico “vedo”, deponendo le fiches sul tavolo.

CHI LAVORA CONTRO?

Chi allora lavora contro la pace? Israele o Hamas? La narrazione dei progressisti d’Occidente racconta di un Bibi Netanyahu risoluto a radere al suolo Gaza, convinto che questa sia la sola via per sventare la minaccia terroristica.
La cronaca rivela che il braccio armato dei palestinesi non rispetta le condizioni minime per avviare un dialogo serio, pretende che Israele tratti al buio, senza sapere in che condizioni siano i propri cittadini sequestrati.
Il gioco dei tagliagole è manifesto: puntano a scavare un solco sempre più profondo tra Gerusalemme e gli Stati arabi moderati.
Era questo uno degli obiettivi principali del 7 ottobre e non è mai cambiato. Bisognava e bisogna far fallire gli accordi di Abramo tra Israele ed Emirati Arabi, sottoscritti nel 2020 sotto l’egida degli Usa di Trump e che si propongono una normalizzazione dei rapporti tra i due Stati all’insegna del dialogo e della collaborazione nonché il reciproco impegno a promuovere un piano strategico ed economico che porti alla pace in Medio Oriente.
Naturalmente la guerra è un ostacolo a questo processo e il sangue dei martiri di Allah, che Hamas ritiene la sua arma più micidiale, è il mezzo per raggiungere lo scopo. Per questo per i terroristi la guerra deve continuare e ogni azione è volta a esasperare Israele e ingannare l’opinione pubblica occidentale.
La pessima notizia dietro l’alt alle trattative prima ancora che iniziassero è che il piano dei terroristi rischia di sortire effetti, almeno in parte. Israele è retto da un gabinetto di guerra, una grande coalizione con i falchi ultraortodossi alla destra di Netanyahu, che lo spingono a radere al suolo Gaza, il presidente che gode di scarsa popolarità interna e una fiducia sempre minore anche da parte delle cancellerie occidentali e Benny Gantz, ex capo di Stato Maggiore dell’esercito nonché leader di quello che, prima del conflitto, era il maggior partito di opposizione che è ormai una sorta di leader ombra. Sarà lui prossimamente a recarsi negli Stati Uniti per incontrare la vicepresidente Kamala Harris e questa è una mezza delegittimazione da parte della Casa Bianca nei confronti di Bibi, il più longevo premier della storia israeliana, un monumento della politica che, se non ci fosse la guerra, probabilmente sarebbe oggi sotto processo per beghe da pollaio, con capi d’accusa che ne offuscano il decoro. D’altronde, la decisione americana di paracadutare gli aiuti umanitari su Gaza, dopo la strage della settimana scorsa, senza farli passare dal valico di Rafah né da quello di Kerem Shalom (i vigneti di pace; ndr) conferma la distanza tra la diplomazia di Washington e l’esecutivo di Gerusalemme.

RAMADAN ALLE PORTE

Come se non bastasse Hareetz, il più noto quotidiano israeliano, ieri ha pubblicato la notizia che lo Shin Bet, i servizi segreti per gli affari interni del Paese, non partecipa più alle riunioni del consiglio di guerra per timore che gli ultraortodossi diffondano notizie riservate tese a estremizzare la tensione. A complicare le cose c’è poi l’imminenza del Ramadan, che inizia domenica prossima in un clima che non potrebbe essere peggiore. Se, per ragioni di sicurezza, il governo israeliano deciderà di bloccare l’accesso alle moschee da parte degli islamici si rischiano tumulti di piazza nel Paese, con un considerevole numero di morti da mettere nel conto.

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