Il mito dell'eccezionalità britannica
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/the-myth-of-british-exceptionalism/
Quella vecchia immagine della famiglia ebrea con la valigia pronta nel caso in cui i suoi membri fossero costretti a lasciare improvvisamente la propria casa è tornata più forte che mai in tutta Europa. In Francia e in Germania, dove vivono comunità ebraiche importanti, il dibattito su “Dovremmo andarcene?” infuria sul serio. Entrambi questi Paesi hanno registrato livelli record di episodi di antisemitismo nel 2023, la maggior parte dei quali si è verificata dopo il pogrom inferto da Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele. Discorsi simili si stanno svolgendo anche nei Paesi Bassi, in Scandinavia, in Belgio e in Spagna, Stati con piccole comunità ebraiche che, tuttavia, stanno affrontando un doloroso aumento dell’antisemitismo. Ma cosa sta succedendo in Gran Bretagna? È una domanda pertinente in quanto c'è sempre stato un’ “eccezionalità britannica” nei confronti del continente. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i nazisti fallirono nel loro tentativo di conquistare le isole britanniche, a differenza del resto d’Europa. Dopo la sconfitta di Hitler, gli inglesi appoggiarono gli sforzi per trasformare l’Europa in una comunità economica e politica che alla fine divenne l’Unione Europea, aderendovi addirittura. Eppure la Gran Bretagna non è mai stata del tutto in pace con la propria identità di Stato europeo e, come è noto, il referendum sulla “Brexit” del 2016 a tutti gli effetti ha portato all’uscita del Paese dall’Unione Europea. Quando si tratta di antisemitismo, però, la Gran Bretagna fa parte integrante della norma europea, non l’eccezione. Ancora una volta, questo è importante perché, anche se gli inglesi non negano che l’antisemitismo sia presente nella loro politica e nella loro cultura, non credono che sia velenoso quanto le sue varianti tedesche o francesi. “Si ammette generalmente che l’antisemitismo è in aumento, che è stato notevolmente esacerbato dalla guerra e che anche le persone umane e illuminate non ne sono immuni. Non assume forme violente (gli inglesi sono quasi sempre garbati e rispettosi della legge)”, scrisse George Orwell in un saggio, “Antisemitismo in Gran Bretagna”, scritto verso la fine della guerra, nell’aprile del 1945. Allo stesso tempo, Orwell ammetteva che l’antisemitismo britannico era “abbastanza cattivo e, in circostanze favorevoli, poteva avere risultati politici.” Per illustrare questo punto, ha proposto una selezione delle frecciate antisemite che aveva sentito l’anno precedente. “Beh, nessuno potrebbe chiamarmi antisemita, ma penso che il modo in cui si comportano questi ebrei sia assolutamente disgustoso. Il modo in cui saltano la fila e passano per primi, e così via. Loro sono così abominevolmente egoisti. Penso che siano responsabili di gran parte di ciò che accade loro,” ha detto una donna della “classe media.” Un’altra donna, descritta da Orwell come un’“intellettuale”, si rifiutò di leggere un libro che descriveva dettagliatamente la persecuzione degli ebrei in Germania con la motivazione che “me li avrebbe solo fatti odiare ancora di più,” mentre un ragazzo – un “quasi- Comunista” nella descrizione di Orwell – confessò di non aver mai nascosto il suo odio per gli ebrei. “Intendiamoci, io non sono antisemita, ovviamente”, aggiunse. Scommetto che se Orwell affrontasse lo stesso argomento oggi, scriverebbe un saggio simile. La retorica che lui cita riecheggia in modo inquietante ciò che stiamo ascoltando quasi 80 anni dopo, in particolare la negazione che il riciclaggio di cliché antisemiti renda uno un antisemita, così come le frecciate contro l'eletto, perché gli antisemiti non hanno mai capito (o non vogliono capire) che la “scelta” ebraica non riguarda la superiorità razziale o etnica, ma il dovere di eseguire una serie specifica di comandamenti divini. La settimana scorsa, il Community Security Trust (CST), un’organizzazione volontaria per la sicurezza al servizio degli ebrei britannici, ha pubblicato il suo rapporto annuale sullo stato dell’antisemitismo in Inghilterra. Il CST pubblica fedelmente questi rapporti fin dal 1984 e negli ultimi anni ha registrato regolarmente nuovi record nel numero di reati denunciati. Il 2023 è stato l’anno peggiore di tutti; sono stati segnalati ben 4.103 incidenti, una cifra da capogiro, un aumento dell'81% rispetto al precedente record annuale del 2021, quando furono segnalati 2.261 incidenti (in gran parte a causa del conflitto tra Israele e Hamas di quell'anno, durato 11 giorni nel mese di maggio). È interessante notare che il mese peggiore del 2023 è stato ottobre, nei giorni immediatamente successivi agli stupri e alle altre atrocità commesse dai terroristi di Hamas in quel giorno nero. L’11 ottobre è stato, infatti, il giorno peggiore in assoluto, con 80 incidenti segnalati. Come ha sottolineato il CST, “La velocità con cui gli antisemiti si sono mobilitati nel Regno Unito il 7 ottobre e immediatamente dopo, suggerisce che, almeno inizialmente, questo aumento dell’odio antiebraico fosse una celebrazione dell’attacco di Hamas a Israele, piuttosto che la rabbia per la risposta militare di Israele a Gaza.” Naturalmente, la situazione attuale nel Regno Unito differisce da quella dell'epoca di Orwell per due ragioni principali. In primo luogo, nel 1945 non esisteva uno Stato ebraico e l’antisemitismo ruotava intorno a luoghi comuni più grossolani che invocavano la presunta maleducazione ebraica, la loro tendenza a formare un clan, il potere finanziario e così via. (Ciò nonostante, la Gran Bretagna fu anche uno dei primi Paesi occidentali a sperimentare rivolte antisemite legate al movimento sionista e a Israele; nel 1947, dopo che due ufficiali britannici nella Palestina mandataria furono giustiziati dall’Irgun, o “Etzel”, un’organizzazione di resistenza, vi furono violenze il cui bersaglio erano le comunità ebraiche in tutto il Regno Unito, stabilendo così il principio secondo cui tutti gli ebrei, ovunque, sono responsabili dei presunti mali del sionismo.) In secondo luogo, nel 1945, la Gran Bretagna era ancora in gran parte una società di bianchi e di cristiani. Nel frattempo, è diventata molto più diversificata e oggi ospita quasi 4 milioni di musulmani, che costituiscono il 6,5% della popolazione. Dalla fine degli anni ’80 – quando il regime iraniano emanò una fatwa chiedendo la morte dell’autore anglo-indiano Salman Rushdie, accusato di aver diffamato l’Islam nel suo romanzo “I versi satanici” – quella che una volta era una popolazione relativamente docile, si è animata politicamente, con la causa palestinese posta al centro dell’attenzione. Nei quattro mesi trascorsi dalle atrocità di Hamas, con manifestazioni settimanali a sostegno di Hamas a Londra e in altre città, le voci musulmane sono state sproporzionatamente forti nel disprezzo manifestato non solo nei confronti di Israele, ma sulla comunità ebraica del Paese, più strettamente associata allo Stato ebraico. Naturalmente, questo non si applica a tutti i musulmani, e molti dei peggiori aggressori sono di sinistra, non musulmani. In effetti, i massacri del 7 ottobre hanno consentito il ritorno in politica di un individuo particolarmente odioso che avevo disperatamente creduto fosse stato gettato nel bidone della spazzatura della storia: si tratta di George Galloway, un alleato di Hamas e un tempo seguace del defunto dittatore iracheno Saddam Hussein, che si candida alle prossime elezioni parlamentari nella circoscrizione elettorale di Rochdale, nel Nord dell’Inghilterra, per un gruppo chiamato “Partito dei Lavoratori della Gran Bretagna”, il cui manifesto combina nazionalismo e socialismo, ma che probabilmente si opporrebbe di fronte alla descrizione di “nazionalsocialista” più o meno nello stesso modo in cui alcuni antisemiti si oppongono alla descrizione di “antisemita.” Gli ebrei britannici hanno dovuto affrontare gravi problemi negli ultimi anni, in particolare nei cinque anni in cui il Partito Laburista, la principale opposizione, era guidato dal membro di estrema sinistra del Parlamento, Jeremy Corbyn, che da allora è stato espulso dal partito dal suo successore, Sir Keir Starmer. Essendo sopravvissuti a ciò, si è diffusa la convinzione che possano sopravvivere a qualsiasi cosa. Ma c’è un’altra domanda da porsi: ne vale la pena? Un numero crescente, e preoccupante, di ebrei britannici ora risponde “No.”
Ben Cohen, esperto di antisemitismo,
scrive sul Jewish News Syndicate