Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di Gregg Mashberg tradotto da Jns.org del 14.03.24, dal titolo "Fallimento e viltà mascherati da diplomazia".
La spinta degli Stati Uniti e del Regno Unito per riconoscere uno stato palestinese proprio all’indomani del 7 ottobre non può nemmeno essere definita una “mossa alla disperata”. È una resa al fallimento e alla viltà intellettuale.
È una resa al fallimento, perché il paradigma dei due stati è già ripetutamente fallito. Ed è fallito perché i palestinesi l’hanno respinto. Il precedente fu stabilito nel luglio 2000, quando Yasser Arafat se ne andò dal vertice convocato a Camp David da Bill Clinton. Se ne andò dopo che l’allora primo ministro israeliano Ehud Barak aveva offerto ad Arafat tutto ciò che sosteneva di volere. Invece di accettare, Arafat disse no e non fece alcuna controproposta. Pochi mesi dopo, Clinton disse ad Arafat: “Io sono un fallimento e sei tu che mi hai reso tale”.
Da lì in poi, la formula dei due stati è andata in caduta libera. Nel 2008 il successore di Arafat, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, respinse l’offerta ancora più generosa dell’allora primo ministro Ehud Olmert e nel 2014 fece saltare l’iniziativa di pace dell’allora Segretario di stato americano John Kerry.
Ci sono molti modi per dire “no”. L’Autorità Palestinese di Abu Mazen sparge a piene mani veleno d’odio contro gli ebrei (dalla tv, nelle scuole, nelle moschee), sovvenziona il terrorismo con la sua politica “pagati per uccidere” e intitola piazze e vie pubbliche ai più famigerati terroristi palestinesi. Anche adesso, l’Autorità Palestinese, che non ha mai condannato il massacro del 7 ottobre, sta cercando attivamente di riconciliarsi con Hamas. Tutto questo risuona come un “no” alla soluzione a due stati con lo stesso fragore con cui si sbatte la porta ai negoziati.
Ora, con gli israeliani e gli ebrei di tutto il mondo profondamente traumatizzati e i palestinesi che manifestano un sostegno di massa per le atrocità del 7 ottobre nonostante le conseguenze catastrofiche che ha provocato per gli abitanti di Gaza, Stati Uniti e Regno Unito sono tornati alla casella di partenza.
Si rifiutano di prendere atto della amara e inesorabile realtà che la soluzione a due stati è più morta di quanto non sia mai stata. E hanno invece deciso che il riconoscimento, ora, di uno stato palestinese è la risposta alla loro frustrazione. Solo che questa volta, anziché considerare la statualità palestinese come il prodotto di un negoziato, hanno alzato le mani dicendo: “Riconosciamo semplicemente la statualità palestinese e vediamo cosa succede”. Stati Uniti e Regno Unito vogliono rimettere in moto un’auto che è senza ruote.
Bisogna chiedersi: il riconoscimento di uno stato palestinese sarà condizionato alla risoluzione delle altre questioni relative allo “status finale”? Ai palestinesi sarà richiesto di rinunciare alla pretesa che milioni di “profughi” palestinesi – la maggior parte dei quali non sono affatto profughi – esercitino un “diritto al ritorno” non nello stato palestinese, ma dentro in Israele? I palestinesi dovranno accettare di porre termine definitivamente al conflitto con Israele? Il riconoscimento della “Palestina” come un ennesimo stato arabo/musulmano sarà accompagnato dall’obbligo da parte dei palestinesi di riconoscere Israele come (l’unico) stato ebraico?
La risposta a queste domande è senza dubbio “no”. All’Occidente è sempre mancata la volontà di sfidare l’intransigenza palestinese. Vacillano davanti all’immancabile “no” palestinese a qualsiasi concessione. Quindi l’Occidente non chiederà proprio nulla. Sa che, se lo facesse, la sua mossa sarebbe morta in partenza.
Quindi, se Stati Uniti e Regno Unito procederanno lungo la strada del riconoscimento daranno ai palestinesi l’ambito premio diplomatico in cambio assolutamente di nulla. Gli Stati Uniti potranno ripetere fino allo sfinimento che la sicurezza di Israele sarà salvaguardata, ma la storia ha dimostrato che se c’è una cosa in cui eccellono i palestinesi, è praticare il terrorismo (alla faccia di ogni accordo e impegno). Vedi alla voce: Gaza.
Il riconoscimento è anche un atto di viltà intellettuale. Anche adesso, dopo quello che è successo, l’Occidente non riesce ad assimilare la vera natura di questo conflitto. Non vuole ammettere l’amara verità che Hamas e la marea montante di suoi sostenitori palestinesi non accetteranno mai nessuna sovranità ebraica su nessuna parte della Terra d’Israele. È letteralmente contro la loro religione. I palestinesi lo hanno messo in chiaro in ogni modo possibile: violenza, istigazione, indottrinamento, revanscismo e così via.
Messo di fronte a questa terrificante realtà, l’Occidente sceglie semplicemente di ignorarla. Insiste, invece, nel vedere il conflitto in termini geopolitici, come se fosse solo un’aspra contesa fondiaria. Ma continuare a distogliere lo sguardo dalla vera natura del conflitto non lo farà scomparire. Anzi, non farà altro che peggiorare le cose.
L’idea di riconoscere uno stato palestinese in queste circostanze non merita nemmeno di essere definita un’idea. È fallimento e codardia mascherati da diplomazia. (Da: jns.org, 14.2.24)
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