Strano silenzio sugli attacchi provenienti dal Libano
Analisi di Michelle Mazel
Da tre mesi ormai l'organizzazione terroristica Hezbollah, agli ordini dell'Iran, bombarda il nord di Israele dalle sue postazioni nel sud del Libano. Postazioni che essa avrebbe già dovuto evacuare, in conformità con la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'11 agosto 2006. Una risoluzione che mirava a porre fine alla Seconda guerra del Libano, scatenata anche in questo caso da Hezbollah. Il 12 luglio erano stati lanciati dei razzi sul territorio israeliano, mentre un commando di militanti Hezbollah stava effettuando un raid mortale, uccidendo otto soldati e sequestrandone altri due. Dopo un mese di pesanti combattimenti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva votato la Risoluzione 1701, che chiedeva un cessate il fuoco permanente, il ritiro dell’IDF dal Libano, la smilitarizzazione di tutte le milizie operanti in Libano (compresi Hezbollah e OLP), il ritorno della sovranità libanese sull’intero Paese, nonché la restituzione dei soldati israeliani rapiti. Il 13 agosto Israele, il Libano e Hezbollah avevano approvato l’accordo. Alla fine dell'estate una forza multinazionale di mantenimento della pace, l’UNIFIL II, fu schierata nel sud del Libano. Ma Hezbollah non ha adempiuto a nessuno dei suoi obblighi. Né l'UNIFIL, che avrebbe dovuto garantirlo, né l'esercito libanese hanno potuto o voluto cercare di allontanare i suoi militanti dal Libano meridionale, o anche solo impedire le frequenti violazioni del cessate il fuoco, nonostante le proteste di Israele. Perché questi attacchi oggi, ti chiedi? Molto semplicemente, secondo il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah – che Wikipedia descrive, non sto scherzando, come un “signore della guerra e politico libanese” – “per venire in aiuto del povero Hamas, selvaggiamente attaccato senza provocazione.” Questa volta però, Israele, oltre che a contrattaccare, ha adottato misure immediate per evacuare i residenti dei kibbutz, delle città e dei villaggi israeliani situati vicino al confine o nel raggio dei tiri provenienti dal Libano. Più di centomila persone sono state trasferite negli hotel di tutto il Paese. Una misura efficace che ha salvato vite umane. Nel complesso sono stati colpiti solo degli edifici e delle infrastrutture. Finora, l’esercito israeliano ha risposto di volta in volta, prendendo di mira le posizioni di Hezbollah a sud del fiume Litani. La situazione, però, non può durare. Gli avvisi continuano ad arrivare. L’intera economia della regione è ferma. Degli agricoltori coraggiosi continuano a prendersi cura dei propri campi e del proprio bestiame, rischiando la vita. Bisogna dire che in Europa la loro sorte, e quella delle famiglie sradicate in attesa di ritornare a casa loro, non interessa a nessuno. Se il Presidente francese Emmanuel Macron ha preso il telefono per chiamare il ministro israeliano Benny Gantz, è stato per sottolineare che “era essenziale evitare qualsiasi escalation, soprattutto in Libano.” Non è noto se tale messaggio sia stato trasmesso a Hezbollah. Il capo della diplomazia europea Joseph Borrel è ancora più chiaro: il Libano non deve assolutamente essere “trascinato in un conflitto regionale,” aggiungendo che “questa è l’ultima cosa di cui il Libano ha bisogno.”