Hamas giura di vendicare il suo nuovo “martire”
Analisi di Michelle Mazel
La glorificazione del "martire" Saleh Al Arouri
Il terrorista Saleh Al Arouri, sulla cui testa gli Stati Uniti avevano messo una taglia, è stato ucciso martedì 2 gennaio in un attacco mirato, mentre si trovava in un appartamento situato a Dahieh, il sobborgo della capitale libanese divenuto roccaforte di Hezbollah . Questo numero due dell'ufficio politico del movimento islamista e uno dei comandanti del suo ramo militare, le Brigate al- Qassam, aveva spesso ripetuto che non si aspettava di vivere così a lungo, sottolineando che la minaccia di assassinio per lui non significava nulla perché, ai suoi occhi, il martirio era la vittoria più grande, ed è così che sperava di celebrare la fine della sua vita. Il suo desiderio è stato esaudito. L'operazione non è stata rivendicata. “Martirio del vicepresidente dell'ufficio politico di Hamas, Sheikh Saleh Al-Arouri, in un attacco sionista a Beirut”, dichiarano Hamas in un annuncio trasmesso dal suo canale ufficiale, Al-Aqsa TV, e gli altri media. Fermiamoci un attimo su questo termine “martire”, perché è al centro del conflitto tra lo Stato ebraico e i suoi vicini musulmani. Salah el Arouri non è morto come patriota per la Palestina, ma come martire per la più sfolgorante gloria di Allah. Per molti israeliani quel che rimarrà di un uomo che ha le mani sporche di sangue, sarà quell’ immagine trasmessa dalle reti di Hamas e ripetuta dai canali di tutto il mondo sabato 7 ottobre. In visita a Doha, lo si vede accanto a Ismaël Hanniyeh esultare davanti alle immagini del terribile pogrom perpetrato in Israele, prima di prostrarsi con il suo ospite “a ringraziare Allah per questa grande vittoria.” Non gli è stato chiesto come Allah il Misericordioso abbia tollerato la tortura e il massacro di vecchi, donne e bambini indifesi. Il fatto che fossero ebrei li escludeva dalla razza umana? Cosa c’è da stupirsi che la sua morte, che assomiglia a un'esecuzione, sia attribuita a Israele? Quel che invece è molto più strano, è l’intervento del Capo dello Stato francese, che ha parlato al telefono con il Ministro israeliano Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra, e ha sottolineato che “sarebbe stato essenziale evitare qualsiasi atteggiamento di escalation, soprattutto in Libano.” Lui non può non sapere che era stato Hezbollah a prendere l'iniziativa di bombardare Israele, con la motivazione che cercava di venire in aiuto di Hamas a Gaza. Che più di centomila civili israeliani hanno dovuto abbandonare le loro case e le loro città, i loro campi e il loro bestiame, di fronte a questo fuoco di fila incessante che continua a causare ingenti danni materiali. Che finora Israele sta rispondendo con moderazione, proprio per evitare un’escalation, ma che questa moderazione ha dei limiti. Che l’esercito libanese e l’UNIFIL, che hanno proprio questo compito, non si avventurano a porre fine a questa aggressione. Ma il Presidente Macron sa fin troppo bene che è inutile rivolgersi al governo libanese, totalmente incapace di affermare la propria autorità e di far rispettare gli impegni presi nel 2006. E allora non gli resta che puntare il dito contro Israele.