Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di Yedidia Stern del 12/02/24, dal titolo "Il paese e la sua classe politica devono meritarsi l’abnegazione dei loro soldati".
Israele si trova in un momento cruciale: la parte ad alta intensità della guerra a Gaza sta per finire. Le Forze di Difesa israeliane hanno ottenuto successi impressionanti, ma gli obiettivi della guerra non sono stati ancora raggiunti. Circa la metà degli ostaggi sono ancora nelle mani dei terroristi; due terzi del territorio della striscia di Gaza sono stati conquistati, ma Hamas non è ancora sconfitta; gli israeliani sfollati da sud e da nord non sono ancora tornati alle loro case; Hezbollah dal Libano continua a martellare il territorio israeliano e la testa del serpente è ben lungi dall’essere stata recisa. Quelli che tirano le fila a Teheran continuano a portare avanti le loro macchinazioni. Come dovremmo procedere? Per riuscire ad affrontare le sfide militari, sociali e politiche che si sono accumulate nell’agenda nazionale è necessario intraprendere un’azione civica urgente: ripristinare la fiducia della società israeliana nella leadership del paese. Ad oggi, solo il 35% della popolazione esprime fiducia nel governo (mentre circa il 75% ha fiducia nei comandanti delle forze armate). Si tratta di una base di sostegno ristretta e traballante che renderà difficile prendere le decisioni cruciali, alla Ben-Gurion, che il momento richiede. L’intero sistema politico – sia la coalizione che l’opposizione – deve tornare in sé e colmare il gap di fiducia mediante iniziative concrete. Prima cosa, e più importante: il processo decisionale nazionale su questioni esistenziali deve essere affidato a chi rappresenta una solida maggioranza degli israeliani, a differenza della situazione attuale in cui degli estremisti ideologici detengono un potere di veto concreto e tangibile sul primo ministro. Il modo corretto per realizzare questo cambiamento sarebbe andare alle elezioni generali, ma ciò minerebbe l’unità del paese. La fiducia nella leadership può essere ripristinata in altri modi, anche senza elezioni: con una decisione del primo ministro di modificare la composizione della coalizione; oppure la decisione di imporgli questo passo da parte di parlamentari dei partiti della coalizione di governo; oppure una decisione dei partiti d’opposizione di entrare nella coalizione sulla base di condizioni tali da inficiare il potere di veto degli elementi estremisti.
Ognuna di queste opzioni richiede che i rappresentanti eletti agiscano a dispetto del rischio di danneggiare i propri interessi personali. Ma non si tratta di una richiesta eccessiva: questo – e molto di più – è esattamente ciò che hanno fatto decine di migliaia di riservisti israeliani, che ora stanno gradualmente e temporaneamente tornando alle loro case. Ognuno dei riservisti avrebbe potuto voltarsi dall’altra parte e lasciare la propria parte del peso nazionale sulle spalle degli altri. Invece hanno scelto di farsi avanti, e ne hanno pagato il prezzo in prima persona. Non si tratta “solo” del coraggio dimostrato in battaglia, quando scorre l’adrenalina e la vita è concretamente in pericolo. Si tratta anche della loro pronta disponibilità, nel corso del tempo, ad anteporre il bene comune al proprio benessere personale, al benessere dei propri cari, alla propria famiglia e alle proprie necessità economiche.
L’estenuante attività condotta per giorni e notti di fila all’interno degli angusti spazi dei blindati, o con pesanti zaini ed equipaggiamenti protettivi, impregnati di pioggia e sudore, senza poter comunicare con mogli, mariti, figli, genitori e con la costante preoccupazione per il mancato reddito famigliare: tutte cose che logorano qualunque eroismo. Eppure, questi riservisti si sono rivelati dei veri eroi nel corso degli oltre 120 giorni trascorsi dal 7 ottobre.
La pionieristica Generazione Palmach, quella che fondò e difese lo stato, temeva che l’edonistica Generazione Espresso degli anni ’60 non avrebbe saputo preservarlo. Poi venne la Guerra dei Sei Giorni, e pochi anni dopo la Guerra dello Yom Kippur, e quella generazione dimostrò tutta la sua capacità di resilienza e abnegazione.
Lo stesso vale adesso, e due volte tanto: chiunque avesse dubbi sul fatto che i nostri giovani – sempre alla ricerca di autorealizzazione e mindfulness, individualisti carrieristi di successo orgogliosi del loro paese hi-tech, liberal per i quali il mondo intero è casa – si sarebbero sporcati le mani col grasso dei carri armati, si sarebbero rannicchiati nelle sabbie di Shejaia, si sarebbero fatti strada dentro tunnel pieni di imboscate e trappole esplosive, si sarebbero accontentati di una doccia alla settimana e di razioni di rancio da trincea, ha ricevuto la risposta. La Generazione TikTok è qui: forte, determinata, pronta per la necessaria missione di salvezza nazionale. La società israeliana dimostra ancora una volta, a se stessa e ai suoi nemici, la sua straordinaria resilienza collettiva.
Quelli che stanno rientrando dal campo di battaglia, compresi i miei figli e mio genero, tornano più seri e introspettivi di prima, e con uno stato d’animo commovente e generalizzato: “L’esercito è assolutamente okay – dicono – l’importanza della missione è chiara a tutti, abbiamo lasciato a casa le nostre differenze ideologiche, sappiamo che verremo schierati di nuovo per continuare i combattimenti e ci presenteremo tutti”. Ecco come sono i soldati che stanno combattendo per questo paese. Noi – la società israeliana, e in particolare la leadership – li meritiamo? Prima di richiamarli per un ulteriore servizio di combattimento, dobbiamo agire per ripristinare la fiducia degli israeliani nella leadership del paese. È necessario un cambiamento dell’attuale coalizione, e l’onere ricade sui parlamentari in carica nella Knesset, sia della coalizione che dell’opposizione. Ognuno di loro deve mostrarsi all’altezza della situazione e agire nell’interesse nazionale, facendo fede al giuramento di “adempiere fedelmente alla propria missione nella Knesset”. Lo spirito delle Forze di Difesa israeliane, a Gaza e al confine con il Libano, dovrebbe permeare anche la Knesset a Gerusalemme. (Da: Jerusalem Post, 10.2.24)
Per inviare a israele.net la propria opinione, cliccare sull'indirizzo sottostante
http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm