Ma quale Striscia di Gaza: qui in Italia ci siamo già incastrati-incolonnati-asserragliati nella temibile e insidiosissima Striscia di Ghali.
È lui - Ghali - il prescelto dalla giuria di qualità della sinistra, è lui l'unto dal generatore automatico di figurine progressiste, è lui il nuovo vendicatore dei rossi-rosa-arancione-fucsia. Il valoroso popolo dei compagni già grida sui social: «La sinistra riparta da Ghali». E gli stessi che fino all'altro giorno alzavano il sopracciglio sull'italianità di Sinner stavolta cantano impettiti con Ghali «Sono un italiano vero», sulle note di un Toto Cutugno che per evidenti ragioni – non può più difendersi.
Gentile Elly, se lo faccia dire da noi che la attacchiamo tutti i santi giorni ma che in fondo le vogliamo bene (glielo giuriamo sulla testa di Furfaro). Lei disse: «Non mi hanno visto arrivare». Ma stavolta è lei che non ha visto arrivare Ghali, il quale – tomo tomo cacchio cacchio – le sta già rubando il posto.
Poi, per carità, pure per Ghali varrà quel che è valso per lei: dopo due-tre mesi lo tratteranno come uno scappato di casa, ma intanto oggi lo portano in processione come una madonna pellegrina.
Lui – poveraccio – sembra crederci. Del resto, ne aveva già tentate tante per emergere. Un paio di anni fa aveva inveito allo stadio contro Matteo Salvini, ma non se l’era filato quasi nessuno. Poi al Festival, all’inizio della scorsa settimana, ci aveva provato con la solita tarantella sulla cittadinanza, ma, a parte un editoriale estasiato di Avvenire, la cosa era morta lì. Il colpaccio gli è riuscito parlando di «genocidio» e associandolo – pur senza esplicitare il ragionamento – a Israele. In un posto normale, qualcuno (il conduttore, un dirigente Rai, uno straccio di funzionario) gli avrebbe detto nella lingua ufficiale del servizio pubblico, cioè in romanesco: «A Ghali, ma che stai a dì? Il 7 ottobre c’è stato un pogrom, 1.200 persone ebree sono state uccise proprio in quanto ebree, e tanti ragazzi sono stati massacrati proprio mentre partecipavano a una manifestazione musicale, e tu, anziché chiedere la liberazione degli ostaggi, spari metaforicamente su Gerusalemme?».
Ma questa cosa non gliel’ha detta nessuno.
MIRACOLO LAICO
Per Ghali solo applausi, «bravoooo», petali di rose.
C’è stato soltanto – a babbo morto, domenica pomeriggio – un tenue comunicato stampa dell’ad Rai letto da zia Mara Venier per presentare doverose quanto tardive scuse a Israele e alle comunità ebraiche. Apriti cielo! I mejo martiri della sinistra (da Saviano al redivivo Toninelli, da Zan a Sandro Ruotolo, fino ai gemelli dell’autogol Bonelli e Fratoianni) sono insorti a difesa della Striscia di Gaza, anzi – pardon – della Striscia di Ghali. Caro Ghali, lei non ci crederà, ma noi di Libero siamo già in pena per lei quando abbiamo visto che domenica prossima sarà ospite di Fabio Fazio. Sarà lì la consacrazione della sua leadership. Ci si perdoni la blasfemia, ma è solo sulla poltroncina di Fazio che si realizza la versione laico -progressista della transustanziazione: per i sinceri credenti, nella Messa, è il momento in cui pane e vino diventano corpo e sangue di Nostro Signore. Ma è solo da Fazio che uno scappato di casa diventa Profeta. Mira colo laico. Salvo naturalmente (contro -miracolo) ritornare alla condizione di scappato di casa un trimestre dopo. Il suo destino, caro Ghali, è segnato, nel senso che, se tutto va come deve andare, lei è spacciato. Gentile Ghali, resti lucido e ci segua nel ragionamento, perché qui siamo preoccupati per lei. Pensi alla mirabolante ascesa e alla successiva rovi nosa caduta di Aboubakar Soumahoro, icona della lotta contro il caporalato e contro ogni forma di sfruttamento. Sparato in copertina da L’Espresso allora diretto da Marco Damilano: prima pagina divisa in due, foto di Soumahoro e foto di Salvini, e titolo disumanizzante (per Salvini), Uomini e no. Poi mesi e mesi di trasmissioni tv in cui Soumahoro veniva portato in processione: tra i turiferari più attivi, ancora Damilano, Fabio Fazio e Diego Bianchi.
Resta indimenticabile la scenetta in cui (al Festival del giornalismo di Perugia dell’aprile 2019) Bianchi mormora, mentre scatta un selfie con Damilano e Soumahoro davanti a una platea in visibilio: «La costruzione di una leadership è difficilissima».
GAFFE MEMORABILI
Poi, come si sa, per Soumahoro (nel frattempo portato da Fratoianni e Bonelli in Parlamento, con tanto di ingresso trionfale con ai piedi un paio di stivali sporchi di fango, simbolo delle battaglie combattute a fianco dei più umili) sono venuti i giorni cupi: con le spiacevoli indagini a carico di suocera e moglie ma soprattutto (qui le vicende giudiziarie non ci interessano: siamo garantisti sempre) con una verticale perdita di credibilità politica, abbinata a memorabili gaffes (il diritto all’eleganza teorizzato in tv a favore della moglie). E allora che accade? Di colpo, i padrini mediatici lo mollano: Fazio desaparecido, Damilano tace, mentre Bianchi lo scarica brutalmente lasciando intendere che Soumahoro aveva incontrato pure il Papa. Come a dire: se lo aveva ritenuto credibile Bergoglio, non potete prendervela con una trasmissione tv... Sic transit gloria mundi: stracciata una figurina, avanti con la prossima. Se lo ricordi, Ghali. Lei non è l’ultima figurina: al massimo, è la penultima. Perché dopo di lei ne arriverà un’altra. E a quel punto noi – soffocando le risate – la rimpiangeremo. Non dica che non l’avevamo avvisata. Cordialità.
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