Alberto Giannoni
Davide Romano, direttore del Museo della brigata ebraica, lei è stato fra i primi a intravedere il rischio di una Giornata della memoria limitata al passato, e slegata dal 7 ottobre.
Oggi è il giorno del Ricordo, che rischio vede? «Il rischio è una memoria per settori, segmenti che non si parlano fra loro, con una dispersione di energie. Ogni volta si vede un pezzo di realtà e si rischia di perdere di vista il tutto».
Che succede? «Il rischio è un negazionismo selettivo. C’è un filo rosso che lega la negazione delle foibe alla negazione degli stupri di massa di Hamas. Trovo spietata questa logica per cui se vieni ucciso dai nazifascisti meriti di essere ricordato, e se ti uccidono islamisti e comunisti no. Serve una memoria, e una conoscenza, dei totalitarismi e dei meccanismi della propaganda».
La propaganda? «La propaganda può renderci orribili. Penso a chi prese a sassate il treno che portava i profughi istriani, o a chi oggi urla nelle piazze in favore di Hamas».
In concreto a cosa pensa? «A un museo, che intitolerei a Orwell che già aveva spiegato tutto con i suoi libri ancora attualissimi. Qualcosa che vada oltre il ricordo delle vittime. La vicenda delle foibe, compresa la loro rimozione, deve esserci».
Lei lo propone per Milano, dove si fa molta «memoria», ma unilaterale. «Lo propongo a Milano ma ne sogno tre: nord, centro e sud. Li vedo come un vaccino trivalente contro il totalitarismo: fascismo, comunismo, islamismo. Tre ideologie totalitarie. I giovani devono saper riconoscere i meccanismi della propaganda. Oggi c’è bisogno di difendere le democrazie, dalla propaganda islamo-comunista prima di tutto. Le dittature governano l’Onu e inquinano il nostro dibattito democratico».
Pensa a Putin. «Propaganda emblematica la sua. Parla di “nazismo ucraino”, con Zelensky che è ebreo. Chi giustifica l’aggressione all’Ucraina lo fa usando l’argomento delle minoranze oppresse, proprio come Hitler coi Sudeti».
La propaganda totalitaria ribalta sempre la realtà. «Ribalta la realtà, o cancella le differenze, comunque confonde, enfatizza i problemi della democrazia e minimizza gli orrori delle dittature. Penso a chi paragonava il green pass alla Shoah, ma anche a chi oggi racconta la guerra scegliendo sempre e comunque l’equidistanza, anche fra i terroristi e la democrazia, per non parlare di chi sceglie direttamente la dittatura».
Domani sono 45 anni dalla «rivoluzione» iraniana. «Che abbaglio clamoroso. I comunisti lo esaltavano come un liberatore, perché era anti-americano. L’anti-americanismo è comune a tutti i totalitarismi».
Però la democrazia anche Usa non è immune da difetti. «Ma non genera mostri. Un conto sono gli errori, un conto gli orrori. Oggi ci sono sedicenti antifascisti che combattono gli Usa e non Hamas o la teocrazia. E noi dobbiamo smetterla di giocare di rimessa e darci da fare, insegnare ai ragazzi a non farsi fare il lavaggio del cervello. La democrazia è il modo migliore per difendere la vita umana».
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