Ostaggi, Hamas ci ripensa
Commento di Amedeo Ardenza
Testata: Libero
Data: 07/02/2024
Pagina: 15
Autore: Amedeo Ardenza
Titolo: Hamas ci ripensa: sì a intesa sugli ostaggi

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/02/2024, a pag. 15, con il titolo "Hamas ci ripensa: sì a intesa sugli ostaggi", il commento di Amedeo Ardenza.

Hamas Political Bureau chief Ismail Haniyeh (L) and Qatari Emir Sheikh Tamim Bin Hamad Al-Thani in Doha
Il Capo di Hamas Ismail Haniyeh durante un incontro con l'emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al-Thani. Quest'ultimo è incaricato a mediare per gli ostaggi, in quanto amico e sponsor dei terroristi palestinesi di Hamas

«Abbiamo ricevuto una risposta positiva da parte di Hamas sul quadro generale di un accordo per gli ostaggi». Lo ha dichiarato il primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani, affiancato in conferenza stampa a Doha dal segretario di Stato americano Anthony Blinken. «Hamas», ha proseguito Al Thani, «ha presentato alcuni commenti sul quadro, tuttavia possiamo dire che sono stati in generale positivi». Parole che indicherebbero come il Movimento islamico di resistenza al potere a Gaza starebbe superando le divisioni emerse nei giorni scorsi fra chi si oppone e chi sostiene l’utilità di un accordo con Israele. «A causa della sensibilità di questa fase, non possiamo approfondire i dettagli», ha aggiunto il politico qatariota.
L’idea è che Israele cessi le ostilità contro il gruppo terroristico responsabile dei massacri dello scorso 7 ottobre in cambio della liberazione dei civili rapiti quattro mesi fa e trattenuti contro la loro volontà a Gaza. I “dettagli” fanno però la differenza: quali e quanti ostaggi sarebbero restituiti alle loro famiglie? Una parte – uno al giorno per 35 giorni come suggerito nei giorni scorsi – o tutti in cambio di una tregua permanente? Solo gli anziani e i bambini o anche gli adulti? E' noto che Hamas consideri ogni israeliano un militare, il che farebbe pensare a una liberazione delle sole donne, ma altri sostengono che le violenze subite da quest’ultime sarebbero tali da rendere controproducente (per Hamas) se non impossibile il loro ritorno a casa.

PAESE DIVISO

A rendere ancor più complicata la questione è intervenuto ieri il New York Times sostenendo che dei 136 prigionieri di Hamas 32 sarebbero già morti mentre si teme per la vita di altri 20. «Secondo le informazioni a nostra disposizione i morti sarebbero 31», ha replicato amaro il comitato israeliano delle vittime degli ostaggi.
Neppure da parte israeliana c’è unità di intenti: metà del Paese ritiene fondamentale liberare i prigionieri, l’altra metà è convinta che se Hamas non sarà messa in ginocchio il terrore tornerà a colpire, tanto più se saranno liberate centinaia di detenuti palestinesi già condannati per atti di terrorismo. L’aspetto tragico della vicenda è che entrambe le parti hanno ragione. Yair Lapid, ex primo ministro e leader del partito progressista Yesh Atid, ha dichiarato di essere pronto a sostenere il governo del premier Bibi Netanyahu per garantire un accordo sugli ostaggi.
L’accordo è invece osteggiato dai due partiti nazionalisti religiosi dei ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. La loro uscita di scena indicherebbe che un’intesa con Hamas è più vicina ma la strada appare ancora molto lunga: poco dopo l’uscita dello sceicco Al Thani, Hamas ha reso noto di puntare a «un cessate il fuoco completo, alla fine dell'aggressione contro il nostro popolo», alla ricostruzione, alla fine del blocco contro Gaza e a uno scambio completo dei prigionieri. Obiettivi che lo stesso presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha definito a caldo «un po’ eccessivi» pur confermando che «il negoziato continua».

SFOLLATI DAL NORD

Il clima nella regione non è certo favorevole alle colombe: solo ieri due militari israeliani sono rimasti feriti a Margaliot, nel nord del Paese, dopo essere stati colpiti da un razzo esploso da Hezbollah. Da quando Hamas ha attaccato il sud d’Israele lo scorso 7 ottobre, la milizia sciita filoiraniana ha continuamente colpito da nord con razzi artigianali, missili più sofisticati, droni e con missili anticarro, questi ultimi di fatto impossibili da intercettare per i sistemi di difesa israeliani concentrati sulle minacce in arrivo dal cielo. La tensione su quel fronte ha messo in fuga decine di migliaia di israeliani del nord: oggi sono circa 80mila gli sfollati interni dei distretti più vicini al Libano. Ieri il ministro degli Esteri di Beirut, Abdallah Bou Habib, ha respinto la richiesta israeliana mediata dalla Francia di imporre a Hezbollah di ritirarsi a nord del fiume Litani, ossia a 8 km dal confine israelo-libanese. La milizia resta e con essa la tensione ai massimi.

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