Riprendiamo da SHALOM online l'articolo di Claudia De Benedetti dal titolo "Quel legame indissolubile tra 'L’enfant Didi' e il kibbutz Be’eri".
Fare memoria della Shoah significa anche non dimenticare e ricordare le storie di un destino particolarmente avverso che ha colpito un gran numero di artisti e le loro opere d’arte trafugate dai nazisti: di alcune di esse, con enorme difficoltà, a ottant’anni di distanza, si è riusciti a ricostruire il percorso che ha condotto al ritrovamento e alla restituzione ai discendenti: è il caso di Chana Orloff e del suo “L’enfant Didi”.
Ma la storia di Chana Orloff è unica e terribile per il suo legame indissolubile con i massacri del 7 ottobre 2023 avvenuti nel Kibbutz di Be’eri.
Non è usuale che un museo pubblico francese si esprima su un tema di scottante attualità: tuttavia, in due occasioni, il Musée d’art et d’histoire du judaïsme – MAHJ di Parigi ha rilasciato delle dichiarazioni riguardanti la famiglia della scultrice Chana Orloff (1888-1968). «Una situazione eccezionale richiede una misura eccezionale – ha detto Paul Salmona direttore dell’istituzione. – Non potevamo ignorare quello che è successo in Israele, soprattutto perché abbiamo profondi legami con i nipoti di Chana Orloff. Il 7 ottobre, tre membri della famiglia di Chana, che vivevano nel Kibbutz Be’eri, nel sud di Israele, sono stati uccisi dai terroristi di Hamas: Avshalom Haran, Evyatar e Lilach Lea Kipnis. Altri sette membri della famiglia, tra cui tre bambini, sono stati presi in ostaggio. Shoshan Haran (67 anni); Adi, sua figlia (38 anni); Tal Shoham, suo genero (38); Naveh (8 anni) e Yahel Neri (3 anni), i suoi nipoti; Sharon (52 anni) e Noam Avigdori (12 anni), sua cognata e sua nipote. È con grande sollievo che abbiamo appreso della liberazione, nella notte del 25 novembre, delle donne e dei bambini della famiglia, dopo 50 giorni di prigionia: Tal Shoham (38 anni), genero di Shoshan Haran, è ancora tenuto in ostaggio e chiediamo la sua liberazione. Attraverso il caso delle due pronipoti di Chana Orloff, dei loro mariti, dei loro figli e dei loro parenti, il museo vuole anche esprimere la sua solidarietà a tutte le famiglie segnate dai massacri del 7 ottobre».
Chana Orloff era nata nel 1888 a Starokonstantinov, nell’attuale Ucraina, da una famiglia ebraica ortodossa. Emigrò nella Palestina ottomana nel 1905 per sfuggire ai pogrom, trovò lavoro come tagliatrice e sarta, si unì al movimento operaio Hapoel Hatzair. Grazie all’aiuto del fratello Zvi, pioniere dell’educazione fisica nel futuro Stato d’Israele, si trasferì a Parigi per studiare moda, ma scelse l’arte, iscrivendosi ai corsi di scultura all’Académie Russe di Montparnasse. Nella capitale francese Orloff espose al Salon d’Automne, nella celebre galleria Bernheim Jeune, fece parte del gruppo dei giovani artisti ebrei tra cui Marc Chagall, Jacques Lipchchitz, Amedeo Modigliani, Jules Pascin, Chaïm Soutine e Ossip Zadkine. Nel 1916 sposò lo scrittore e poeta di Varsavia Ary Justman, che morì solo tre anni dopo durante l’epidemia di influenza. “L’enfant Didi” realizzata nel 1921 è rappresentativa della produzione di Chana Orloff nel periodo tra due guerre: l’amore materno per Elia, soprannominato Didi, unico figlio della Orloff nato a Parigi nel 1918. L’occupazione nazista la costrinse a scappare in Svizzera con il figlio; al ritorno in Francia, nel 1945, la sua scultura “Le retour” venne giudicata come la più sconvolgente immagine della Shoah. Si trasferì nel 1948 nello Stato di Israele; in quello stesso anno sua nipote e suo marito fondarono il Kibbutz Be’eri. Fu lì che Chana trascorse i suoi ultimi giorni prima di morire, il 18 dicembre 1968.
Proprio il MAHJ ospita, fino al 24 settembre 2024, la mostra temporanea: “L’enfant Didi – storia di un’opera saccheggiata di Chana Orloff, 1921-2023”. Il titolo evoca il tragico destino dell’atelier- appartamento della Orloff situato a Villa Seurat nel XIV arrondissement di Parigi, che fu completamente saccheggiato il 4 marzo 1943. La stessa artista, quando tornò in Francia nel 1945, scoprì attonita che circa 140 sue sculture erano scomparse nel nulla; la sua vita e le opere successive risentirono gravemente del vile furto. «Per molti anni siamo stati in contatto con i nipoti della scultrice, Ariane, Tamir e Éric Justman – ha spiegato Paul Salmona. – Il loro obiettivo è non solo mantenere vivo l’atelier della nonna e far conoscere il suo lavoro, ma anche recuperare il fondo saccheggiato. “L’enfant Didi” è passato di mano in mano fino a riapparire in asta a New York nel 2008. Dopo oltre un decennio di cause legali tra Francia e Stati Uniti è stata restituita alla famiglia nel 2022. Il 26 gennaio 2023, la scultura è tornata nella sua casa».
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