La crisi del Medio Oriente e le incertezze americane
Analisi di Antonio Donno
Iran e Cina, la nuova alleanza sanguinaria
La crisi nel Medio Oriente vede l’Iran impegnato in due direzioni, una scelta che Teheran ha compiuto pur se gravida di pericolosi sviluppi nella regione. La prima riguarda il Mar Rosso e a nord il confine israelo-libanese, un impegno indiretto che si sviluppa per mezzo dell’azione dei terroristi Hezbollah, Hamas, e da qualche giorno degli Houthi, tutti gruppi terroristici finanziati e armati dall’Iran. La seconda, invece, è un intervento diretto contro le postazioni dell’ISIS in Iraq e in Siria, per una ragione religiosa. L’ISIS, infatti, è sunnita ed è responsabile, per sua stessa ammissione, della strage avvenuta a Teheran, centro fondamentale dell’islamismo sciita, in occasione del quarto anniversario della morte del generale iraniano Qassem Suleimani, eliminato dagli Stati Uniti. L’intervento diretto di Teheran contro i sunniti dell’ISIS, dunque, ha una ragione che prescinde dagli avvenimenti di Gaza, del confine israelo-libanese e del Mar Rosso, ma che comunque dimostra che l’Iran ha il bisogno di apparire forte e invincibile ai suoi nemici: i sunniti, da una parte; Israele e gli Stati Uniti, dall’altra. L’Iran soffre di una profonda crisi economica, nonostante gli accordi stipulati con la Cina. Questi accordi, secondo lo stile di Pechino, vanno al sodo, cioè allo scambio di petrolio iraniano, a prezzi competitivi – fondamentale per la crescita economica e militare della Cina – con investimenti cinesi nel campo dell’energia per 400 miliardi di dollari, investimenti che, attraverso l’acquisto del petrolio iraniano a prezzi competitivi, finiranno per rimborsare parzialmente l’impegno economico cinese a favore di Teheran. L’Iran, in grave crisi economica, ha accettato l’accordo con la Cina, garantendo, così, a Pechino di affacciarsi verso il Mediterraneo Orientale. Inoltre, la Cina ha mediato un accordo economico tra l’Iran e L’Arabia Saudita, un accordo che allontana Riyad dall’eventuale coinvolgimento negli “Accordi di Abramo”. Più che la Russia, impegnata nella guerra in Ucraina con un dispendio di energie economiche e umane che nel tempo si dimostrerà insostenibile, è la Cina che con la sua avanzata nel Medio Oriente sta creando un riposizionamento degli attori regionali secondo i propri interessi: questi interessi potranno svilupparsi e fornire risultati positivi all’economia cinese solo se la regione mediorientale si manterrà in una situazione non certo di stabilità politica, ma almeno di mancanza di conflitti. Al contrario, nella fase attuale, l’area è agitata da contrasti che non lasciano prevedere alcunché di positivo. Nonostante questa realtà, la politica cinese di penetrazione nel Medio Oriente è caratterizzata, per ora, da una grande attenzione nell’evitare qualsiasi intromissione negli affari politici degli attori regionali, ponendosi soltanto come soggetto contrattuale negli accordi economici con la controparte. Israele continua nella sua azione di eliminazione sistematica di Hamas dalla Striscia di Gaza. Ultimamente si è cominciato a parlare della gestione politica della Striscia dopo la cancellazione dei terroristi di Hamas, ma nessuna ipotesi sembra emergere. L’Amministrazione Biden continua a premere su Netanyahu perché apra uno spazio sostanziale di cessazione dei bombardamenti e dell’avanzata terrestre, ma il primo ministro israeliano ribadisce che una decisione di questo genere significherebbe una gravissima dimostrazione di debolezza da parte di Gerusalemme, a tutto vantaggio di Hamas. Questa conseguenza non può sfuggire all’analisi del Dipartimento di Stato americano, e tuttavia le valutazioni americane su questo tema di vitale importanza per Israele non sembrano contemplare questo fattore decisivo nel contesto degli avvenimenti. Nelle sue memorie Yitzhak Rabin riporta una famosa frase di Menachem Begin durante il suo viaggio negli Stati Uniti di Carter nel luglio 1977, quando i due leader non trovarono nessun accordo di fatto: “Begin […] proclamò […] che Israele e Stati Uniti ‘avevano concordato di non essere d’accordo’”.
Antonio Donno