Quando i nostri alleati sono alleati di Hamas
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Turchia e Qatar, alleati degli USA che odiano Israele, non possono essere partner per la pace in Medio Oriente.
Il 18 dicembre scorso, i newyorkesi sono stati sottoposti alla visione di sfacciati fasci luminosi rosso-granata e bianchi proiettati sullo skyline di Manhattan quando l'Empire State Building è stato illuminato con i colori della bandiera del Qatar, in onore della giornata nazionale dell'Emirato del Golfo. Il Qatar possiede il 10% dell'iconico grattacielo a seguito di un investimento di 622 milioni di dollari effettuato dal suo fondo sovrano nel 2016. Il Qatar possiede anche proprietà immobiliari molto redditizie in altre parti della città, inclusi gli hotel Park Lane e St. Regis, e punti vendita lungo la Fifth Avenue che ospita nomi come Victoria's Secret e Ralph Lauren, una strategia di acquisto che i qatarioti hanno utilizzato anche in altre città del mondo, tra cui Parigi e Londra, consentendo a uno dei Paesi più piccoli del mondo di diventare uno dei più influenti. Il messaggio di saluto del Segretario di Stato americano Antony Blinken al Qatar, in occasione della sua giornata nazionale, ha illustrato chiaramente questo status. “Voglio esprimere la mia gratitudine per il ruolo chiave del Qatar come mediatore negli sforzi volti a garantire il rilascio degli americani ingiustamente detenuti in Iran a settembre, e degli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza,” ha affermato. “Questi sforzi riflettono un impegno condiviso dagli Stati Uniti e dal Qatar nel promuovere la sicurezza e la stabilità in Medio Oriente e oltre.” Naturalmente, molto è stato taciuto, in particolare per quanto riguarda il ruolo del Qatar come principale finanziatore e sostenitore degli stupratori e degli assassini di Gaza conosciuti come Hamas. La verità cruda è che la colossale ricchezza del Qatar, esposta ogni giorno negli edifici per uffici, nei campus universitari, negli ospedali privati e in una miriade di altri luoghi nelle città occidentali, di fatto dà al clan Al Thani che è al potere, proprio l’autorizzazione a gestire le questioni di “sicurezza e stabilità” di cui ha parlato Blinken. La questione del Qatar è centrale nel dilemma politico che le nazioni occidentali si trovano ad affrontare in Medio Oriente, in quanto l’emirato gioca di fatto su entrambe le parti del conflitto israelo-palestinese. Il Qatar è un alleato americano chiave sia in termini di hard power, dal momento che ospita il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), sia di soft power, poiché almeno sei università statunitensi gestiscono lì i propri campus. Eppure, nello stesso tempo in cui Doha coltiva queste relazioni, sta sostenendo un gruppo terroristico che ha giurato di eliminare Israele e sta inviando un segnale agli altri Paesi arabi che non sarà coinvolto dai loro accordi di pace con Israele. A differenza dei suoi vicini Emirati Arabi Uniti e Bahrein, il Qatar ha deciso di non aderire agli accordi di Abramo firmati con gli israeliani nel 2020, mentre in questo momento l’Arabia Saudita sembra un candidato più disponibile per il prossimo accordo di pace. Questo non è un problema che dobbiamo affrontare quando negoziamo con i nostri avversari più diretti. Ad esempio, non è realmente necessaria una delicata diplomazia con l’Iran o la Russia – altri due Stati che sostengono attivamente Hamas – dal momento che noi non abbiamo alcun legame economico o culturale importante con questi Paesi ora che sono in vigore sanzioni robuste. Già in ottobre, Blinken aveva dichiarato su “Face the Nation” che la guerra con l'Iran “non era affatto ciò che stiamo cercando, per nulla ciò che vogliamo, ma saremo preparati, se questo è ciò che sceglieranno di fare.” Non si può immaginare che il segretario sia così superficiale riguardo al Qatar, anche se, come il regime iraniano, anche i suoi governanti sostengono apertamente Hamas e gestiscono il loro Stato in conformità con gli imperativi islamici piuttosto che con il consenso democratico. Probabilmente un principio simile si applica nel caso della Turchia, il cui Presidente, Recep Tayyip Erdoğan, ha superato persino gli iraniani quando si tratta di retorica sanguinaria contro Israele. Dopo il pogrom di Hamas del 7 ottobre, la Turchia è diventata uno dei Paesi più ostili al mondo nei confronti di ebrei e israeliani. Il mese scorso, nel parlamento turco si è verificata una scena paradossale, quando un deputato islamico, Hasan Bitmez, all’improvviso crolla morto sul podio mentre pronunciava una violenta invettiva antisemita. Il giorno seguente, Bitmez ha ricevuto quello che sembrava un funerale di Stato, con la sua bara ricoperta dalle bandiere turca e palestinese mentre una guardia d'onore militare salutava davanti a centinaia di dignitari. Lo spettacolo ha trasmesso il messaggio inequivocabile che garantire la sconfitta di Israele è ora parte della ragion di Stato della Turchia, proprio come preservare l'esistenza dello Stato ebraico è stato parte di quella della Germania del dopoguerra. Durante l'ultima settimana, la stampa turca è stata piena di notizie sensazionali ma vaghe riguardanti il fermo di una presunta rete di spionaggio israeliana. Mancano dettagli chiave degli arresti; non conosciamo i nomi o la nazionalità delle persone in custodia, né le esatte accuse che devono affrontare, ma ciò non ha impedito a Erdoğan di esprimere con entusiasmo la determinazione del suo Paese. “Siamo consapevoli che i complotti di alcuni ambienti sono stati sventati grazie alla posizione del nostro Paese contro le crisi nella nostra regione, in particolare contro i massacri a Gaza”, ha detto Erdoğan ad una riunione di funzionari dell'intelligence turca la settimana scorsa. “Queste attività di spionaggio dimostrano quanto siano preoccupati. Israele è sconcertato dal modo in cui abbiamo arrestato questi sospetti. Ma aspettate, questo è solo il primo passo. Presto conoscerete di cosa è capace la Turchia.” Quest’ultima riga potrebbe essere semplicemente per esibizionismo o potrebbe essere una minaccia che vale la pena prendere sul serio. L'odio nei confronti di Israele e degli ebrei alimentato dal regime di Erdoğan (alcuni negozi turchi hanno addirittura affisso cartelli sulle porte che vietano l'ingresso agli ebrei) è così intenso che sei costretto a credere che tutto sia possibile. Certamente questo è l’approccio che i politici occidentali dovrebbero adottare. Il punto è questo: Israele è un alleato dell'Occidente e garantire la sopravvivenza di Israele è uno scopo dichiarato della politica occidentale. Ma i nostri Paesi sono alleati con Stati come il Qatar e la Turchia, entrambi impegnati a indebolire fatalmente Israele. Sorge quindi la questione se sfidarli o ammorbidirli. Purtroppo, i nostri leader si stanno adoperando più per ammorbidire che per sfidare. Se dovessi chiedere a Blinken il perché di tutto questo, la sua risposta probabilmente sarebbe sulla stessa linea di quella che ha dato ad Andrea Mitchell del canale televisivo MSNBC, quando gli aveva chiesto dei piani di ricostruzione di Gaza, a conflitto concluso. “C'è qualcosa di molto potente, che è cambiato negli ultimi anni nella regione, ed è per questo che penso che, nonostante l'incredibile sfida di questo momento, nonostante l'orribile sofferenza a cui stiamo assistendo, ci sia effettivamente un'opportunità che non abbiamo mai visto in passato”, ha osservato Blinken. “E il cambiamento è questo: tutti questi Paesi ora vogliono una regione che sia più integrata. Vogliono una regione che includa Israele. Sono pronti a fare delle cose, a prendere impegni, a dare garanzie per la sicurezza di Israele. Ma questa deve includere anche la parte palestinese.” In altre parole, l’esito finale dell’attuale conflitto dovrebbe essere una soluzione a due Stati, in cui Israele e Palestina vivano fianco a fianco e godano di buone relazioni politiche e commerciali con i loro vicini. Ma non si può chiedere a Israele di aderire a tale visione fintanto che gli alleati degli Stati Uniti nella regione – più chiaramente Qatar e Turchia – si avvicinano ad Hamas e lo lodano come una legittima organizzazione di “resistenza”. Entrambi questi Paesi hanno bisogno che Washington dica loro che il prezzo dell'inclusione palestinese in qualsiasi processo di pace, sta gettando Hamas sotto l'autobus, perché Hamas non farà parte di alcuna soluzione postbellica. Dato che una conflagrazione regionale è ancora una possibilità, il momento di trasmettere quel messaggio è ormai arrivato.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo,
scrive sul Jewish News Syndicate