Non è il 15 di gennaio ma il 100 di ottobre
Diario di guerra di Deborah Fait
Non siamo al 15 di gennaio ma al 100 di ottobre. Chi ha vissuto quel giorno è rimasto al 2023. Alle 6.29 è suonata la sirena, nessuno capiva perché, cosa era successo. Ci siamo ritrovati nel rifugio sotto casa tutti con i telefonini in mano e attraverso l’app ALert che avvisa dell’arrivo di missili abbiamo capito che tutta Israele, fino al nord di Tel Aviv, era sotto attacco missilistico da Gaza. Abbiamo pensato che si trattasse di uno dei soliti lanci di razzi cui eravamo abituati dal 2006, quando Hamas aveva preso il potere a Gaza ma poi, con il passare delle ore abbiamo realizzato che era tutta un’altra storia. Da quel momento i miei ricordi si fanno confusi, forse per lo shock, forse perché una normale mente umana non può realizzare, non può capire, oggi come allora, quello che stava accadendo qui, in Israele, nelle nostre case, alla nostra gente. Le notizie arrivavano e ma non si capiva niente, il cervello si rifiutava. Nova, il festival della musica, nel deserto, i giovani, tanti ragazzi che correvano come pazzi da tutte le parti e vedevamo delle cose informi nere piombare dal cielo sopra di loro. Poi abbiamo capito che erano droni con degli uomini attaccati che sparavano a raffica su chi scappava rincorso da altri uomini neri armati. Ma dovevamo ancora arrivare all’orrore vero, quello che ti fa star male, quello cui non credi perché troppo spaventoso, troppo tutto. Nel corso della giornata la tragedia si stava delineando nella sua spaventosa realtà, Israele era stato attaccato da squadroni di terroristi assatanati che avevano fatto uno scempio inenarrabile tra i giovani del Festival della musica, massacrandone 240 con mitra, accette, coltelli e stupri. Contemporaneamente altri mostruosi esseri demoniaci erano penetrati in 20 kibbuzim, bruciando le case con dentro le persone, torturando donne e bambini in un inferno che solamente esseri non umani potevano creare. Poche ore dopo lo smarrimento e l’orrore, ancora non ci eravamo ripresi dal dolore, dall’orrore, dal terrore, siamo stati travolti dall’odio dei negazionisti che, al primo colpo sparato dall’esercito a Gaza, si sono trasformati in isterici difensori del Male assoluto di Hamas. Manifestazioni, aggressioni agli ebrei nel resto del mondo, le accuse di “assassini, nazisti, dovete bruciare all’inferno, Palestina dal fiume al mare” non si contavano più. Per finirla in gloria, l’odio ha portato un Israele aggredito, ferito mortalmente, sul banco degli imputati con l’accusa di genocidio. L’accusatore sudafricano non ha fatto cenno agli aggressori e agli stupri e all’eccidio del 7 Ottobre. L’ebreo è sempre l’unico colpevole. Dall’accusa di deicidio che ci ha perseguitati per 2000 anni, pur essendo colpevole l’Impero di Roma, siamo passati al genocidio anche se questa parola sta scritta sullo statuto di Hamas e dell’OLP. Al processo Israele si è presentato con una squadra di avvocati, i migliori del paese con a capo Aaron Barak, ex presidente della Corte Suprema. Dopo il magistrale discorso di introduzione di Tal Beker, ha parlato Galit Rajuan elencando tutti i siti civili che Hamas ha utilizzato come zone di guerra. Ha parlato, con prove alla mano, di ospedali, scuole, moschee, case private adibite a depositi di armi e di batterie per i missili. Ha detto che Hamas usa ogni abitante di Gaza come scudo umano. Israele si difende e il mondo dovrà capire che per noi le parole Mai Più hanno un significato vitale, che è finita l’epoca in cui ci trascinavano come pecore al macello. Agli antisemiti che in questi giorni urlano ”Israele a morte” da Londra a Giacarta, Da New York all’Indonesia, a coloro cui piacciono gli ebrei morti e non sopportano quelli vivi io dico semplicemente: “Rassegnatevi, noi vivremo, il nostro mondo distrutto ritornerà come prima e non finiremo mai di cantare e amare la vita”.