L'Europa predilige l'ebreo-vittima
lo condanna se difende Israele
Testata: Il Foglio
Data: 28/06/2003
Pagina: 1
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: Identikit dell'ebreo come piacerebbe che fosse agli europei: un caro estinto che denuncia Israele
Riportiamo un articolo di Emanuele Ottolenghi pubblicato su Il Foglio sabato 28 giugno 2003.
Il recente risorgere di fenomeni antisemiti nel cuore dell’Europa ha riaperto la questione del rapporto tra cultura europea ed ebraismo. Chi dopo l’inizio della Seconda Intifada – e ancor più dopo l’11 settembre – si ostina a minimizzare il fenomeno attribuendolo a membri radicalizzati delle comunità arabe in Europa ignora l’irrisolta tensione da sempre esistente tra l’Europa e i suoi ebrei. Nonostante abbiano vissuto in Europa per duemila anni contribuendo spesso alla sua produzione culturale e raggiungendo in molti casi altissimi livelli d’integrazione, l’Europa non ha ancora metabolizzato "l’ebreo" e vive con gli ebrei un rapporto difficile, dove la loro accettazione nella società circostante è condizionale alla loro rinuncia di identità, specialmente se essa si esprime attraverso solidarietà e sostegno
per Israele.
Nessuno mette in dubbio che il recente aumento di fenomeni antisemiti abbia un
legame con la corrente crisi mediorientale. Ma questo dato di fatto, lungi dall’esonerare l’Europa dalla recrudescenza antisemita, mette a nudo la grave ambiguità europea nell’accettare gli ebrei come eguali a pieno titolo. Nulla esprime questa ambiguità meglio di quanto ha dichiarato Javier Solana al summit Ue-Usa di Washington. Per Solana non c’è antisemitismo in Europa oggi (nonostante i più di mille incidenti riportati dopo l’11 settembre
soltanto in Francia). Ne discende che coloro che vedono l’antisemitismo nella
presente situazione (che, si sa, deriva da una recrudescenza del conflitto israelopalestinese) in realtà cercano di delegittimare le critiche a Israele bollandole di antisemitismo (per Solana inesistente). Chiaro il corollario: Israele merita le critiche mossegli e gli ebrei che protestano farebbero bene a farsi un esame di coscienza invece. Quegli ebrei che si dissociano da Israele, per il fatto di dissociarsi e denunciarne azioni e legittimità, meritano la stima e l’ingresso a pieno titolo in Europa.
Questo dualismo è diffuso tra la sinistra europea. L’anno scorso, in occasione del ballottaggio alle presidenziali francesi, centinaia di migliaia di manifestanti invasero le strade di Parigi per dimostrare contro "fascismo, razzismo e xenofobia". Molti di coloro che sono scesi in piazza a protestare contro Le Pen hanno marciato fianco a fianco con ebrei, in senso stretto in senso lato, per esprimere solidarietà con le vittime di ieri e di oggi dell’odio razzista e antisemita. Lo slogan "Mai più" riferito all’Olocausto non è un motto politico, ma un’espressione sincera di orrore per il passato europeo che la cultura occidentale ha oggi interiorizzato con successo: chi lo dice lo dice con sincerità e fa del dovere della memoria un principio cardine dell’identità europea.
Molti oggi condividono la nuova passione giudeofila dell’Europa Unita che sponsorizza mostre e musei ebraici, che esalta dovere della memoria, che si mobilita per la giornata della memoria, che legge avidamente di ebraismo (in Italia l’anno scorso ben 700 nuovi titoli di argomenti ebraici in libreria), che fa di Auschwitz uno dei nuovi simboli dell’identità europea. Molti di questi uomini e donne, di fede politica progressista e liberale, dediti diritti umani e alla tolleranza, preoccupati dal risorgere dell’intolleranza che diede i natali al nazismo, non esitano a schierarsi accanto agli ebrei nel perpetuare la memoria del genocidio come monito per le generazioni future. E questo fatto, da solo, offre una garanzia contro il ritorno di certi orrori passati. E tuttavia, resta una forte e inquietante ambiguità. Molti tra coloro che sfilarono contro Le Pen, sono scesi in piazza poche settimane dopo sventolando bandiere palestinesi in nome degli stessi principi, paragonando Israele al nazismo, sostenendo che "le vittime di ieri sono i carnefici di oggi", demonizzando lo Stato ebraico e coloro che lo sostengono come fascisti e assassini che non meritano dignità, rispetto e protezione. Quegli stessi attivisti di sinistra che sfilano in piazza contro il neonazismo, indossano la kefiah come simbolo di rivoluzione, considerano Israele un fenomeno coloniale e uno strumento imperialista americano che merita di essere distrutto, e parlano di complotti sionisti ovvero ebraici) per dominare il mondo e opprimere gli arabi. Amano gli ebrei e rifiutano l’equazione antisionismo = antisemitismo. Ma l’ebreo che amano è quello che denuncia Israele, se ne dissocia, rifiuta qualsiasi legame con l’identità nazionale ebraica, e vive la sua ebraicità come denuncia del sionismo quale perversione dell’umanesimo ebraico con cui l’Europa odierna si identifica spiritualmente. In quanto agli altri ebrei, essi ne fanno riferimento utilizzando lo stupidario collaudato dell’antisemitismo antico e recente, riciclando le congiure, le teorie del grande burattinaio, la stampa in mano ai giudei.
Questa dualità europea, che ama, esalta e idolatra l’ebreo-vittima, ma odia, disprezza e demonizza l’ebreo nazionalista e armato che si difende e combatte, è non soltanto un sintomo di un rapporto schizofrenico e irrisolto che l’Europa ha con gli ebrei, ma è anche la manifestazione più recente e insidiosa del suo perdurante antisemitismo. Esso esprime l’impossibilità europea di associare gli ebrei con il legittimo uso del potere politico, incluso quello sovrano. Per l’Europa l’ebreo deve essere vittima: indifeso, agnus dei, coscienza del mondo, capace di assorbire il dolore inflittogli dall’ingiustizia sublimandolo in una forza interiore che diventa simulacro di giustizia e rettitudine morale per le società circostanti. Per l’Europa l’ebreo deve essere assimilato, non minoranza etnica e religiosa in seno all’Europa multiculturale, ma modello dell’integrazione europea che quella diversità annulla, orgoglioso di un’eredità e un patrimonio storico,
ma non dedito a perpetuarlo. Per l’Europa l’ebreo deve essere mimetizzato: conscio di appartenere a una collettività, ma indistinguibile dall’indifferenziata umanità che lo circonda. Per l’Europa l’ebreo è tale più perchè sa di esserlo che perchè sa come esserlo: glielo ricordano gli altri che lui è ebreo, ma se dipendesse da lui quell’ebraismo – in senso di tradizione particolare e diversa, di fede e osservanza di precetti, in senso di legame a un popolo dedizione alla sua differenziata continuità anche in futuro – gli sarebbe interamente indifferente. Il suo ebraismo è una missione
universale umanistica, che si compie con la scomparsa dell’ebreo concreto, l’ebreo individuo, e la diffusione dell’ebreo astratto e di quello che esso rappresenta, cioè il rifiuto della violenza in maniera incondizionale e un messaggio universale fratellanza.
Ecco perchè gli europei si entusiasmano a vedere film come "Il Pianista"o "La
vita è bella". L’ebreo non è riconoscibile esteriormente: ha abbandonato gli abiti tradizionali, non si copre più il capo, non mangia secondo le regole alimentari ebraiche, non parla la lingua dei padri, non "sembra" ebreo. Ebreo non in quanto ebreo, ma in quanto vittima, l’ebreo amato dall’Europa è espressione suprema della cultura europea, come nel caso del film di Polanski, dove il protagonista appare incapace di difendersi, e sopravvive alla tragedia non per ricostruire e tramandare un’esistenza ebraica ma per farsi testimone di un messaggio universale di sofferenza che trascende il suo ebraismo.
Il pianista sopravvive, ma l’ebraismo non sopravviverà a lui. Quell’ebreo, che fa del suo ebraismo non una tradizione e un’identità ma l’espressione di un messaggio universale, è un ebreo che non trasmette la sua ebraicità alla prossima generazione, che è conscio di un’appartenenza ma che non si sente obbligato a perpetuarne l’eredità. Questo ebreo è un ebreo profondamente
cristiano, profondamente idealizzato e profondamente astratto, nel quale
ben poco di ebraico è rimasto.
L’ebreo che l’Europa sogna è l’idealizzazione dell’innocenza e rappresenta, per
la sua avversione alla violenza anche di fronte alla minaccia di sterminio, la condizione primigenia di purezza che precede il peccato originale costituito in politica dall’uso del potere e dalle talvolta impossibili scelte morali che i dilemmi del potere impongono a governi e Stati. Ed è per questo che l’Europa multilaterale che rifiuta internazionalmente l’uso della forza
si identifica con questa immagine.
Nel rifiuto di ogni associazione esteriore con la tradizione, nel rifiuto della continuità ebraica, nel rifiuto di abbandonare il ruolo di vittima, esso incarna l’ebreo che l’Europa vorrebbe anche al di là del Mediterraneo: un ebreo che non è più tradizione e popolo ma simbolo di universalità indistinta e per questo stesso motivo non più ebreo ma altro: l’ebreo diventa concetto, incarnazione di un’idea, ma cessa di essere quel che sempre è stato e smette di esistere come cultura, fede, collettività nel concreto. Per questo in Europa
Israele viene paragonato ai nazisti, e l’ebreo-vittima che l’Europa idealizza viene contrapposto all’ebreo-carnefice che l’Europa pretende di vedere in uno Stato ebraico che osa difendersi.
Proprio perché nato in guerra e difeso la forza in nome di un’identità ebraica
nazionale che mal si concilia con l’identità europea post-nazionale di oggi,
Israele viene descritto e vissuto come un peccato originale, la perdita d’innocenza degli ebrei che comporta quindi la perdita irrimediabile dell’ebreo-vittima con l’Europa si identifica. Per questo la sinistra liberale oggi non difende gli ebrei dal pregiudizio – ma lo alimenta attivamente – se gli attacchi sono motivati da opposizione a Israele. Gli ebrei che si identificano come nazione, agiscono come tale, e desiderano un loro stato non meritano la simpatia della sinistra. Ai suoi occhi, l’ostilità nei confronti di ebrei sostenitori di Israele non è antisemitismo. La sinistra difende invece quegli ebrei disposti a denunciare Israele e a dissociarsi dallo Stato ebraico. L’ebreo che la sinistra europea ama è talmente integrato con la cultura europea da non avere alcun sentimento di identificazione e lealtà per il popolo ebraico e le sue legittime aspirazioni nazionali. Questo ebreo degiudaizzato, accolto e ammirato dall’Europa, si contrappone a quegli ebrei che si identificano, nel bene e nel male, con una nazione, una cultura, una
tradizione, e un’identità esclusiva. L’unico ebreo veramente amato dall’Europa è l’ebreo che ha coscientemente smesso di esser tale. Estinto concretamente: solo così l’ebreo sopravvive e si integra nella illuminata e tollerante Europa di oggi.
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