Sulla lotta al terrorismo e sulla nascita dello stato palestine
corretta informazione su Il Riformista
Testata:
Data: 24/06/2003
Pagina: 3
Autore: Marshall- Somaini
Titolo: Hamas deve chiudere bottega- La teoria dei due stati
Riportiamo da Il Riformista due articoli all'attenzione dei nostri lettori.

Primo articolo:
"Primo: Hamas deve chiudere bottega. Sbagliata la simmetria terroristi-coloni."
di Will Marshall

Ogni qualvolta divampa la "spirale di violenza" tra israeliani e palestinesi, molte persone imparziali negli Stati Uniti e in Europa si rifugiano in una morale simmetrica. Di fronte a rivendicazioni storicamente valide ma opposte e a un dilagante massacro, la cosa più facile è condannare entrambe le parti. Facile ma inconcludente. Siamo arrivati al punto in cui una tale imparzialità si avvicina pericolosamente al disimpegno morale – il rifiuto di prendere chiaramente atto di chi davvero vuole la pace in Medio Oriente e chi no. La verità è che né gli europei né gli americani hanno adottato il necessario discernimento nello stabilire a quali palestinesi e quali israeliani concedere sostegno.
Cominciamo dagli europei. In Europa è opinione diffusa che la violenza palestinese, pur deprecabile, sia una reazione comprensibile all'occupazione da parte d'Israele dei territori conquistati nella guerra del 1967. Le rivendicazioni palestinesi del diritto alla "resistenza armata" vengono accolte con comprensione. Ma questo presuppone un'equivalenza morale tra i gruppi terroristici palestinesi e il governo democratico israeliano, fatto assolutamente falso. Perché una spirale di violenza abbia inizio, qualcuno deve sferrare il primo attacco. Nell'insanguinato corso dell'attuale intifada quel "qualcuno" è stato sempre Hamas, o la Jihad islamica, o le brigate dei martiri Al Aqsa o qualche altra emanazione terroristica. Poi gli israeliani contrattaccano e s'innesca la consueta spirale: «Gli attentati suicidi sono certamente terribili, ma il governo Sharon ha reagito con eccessiva violenza. Non serve a nulla discutere su chi abbia ragione e chi no; dobbiamo solo fare in modo che le due parti tornino a dialogare». Ma la verità è che Hamas non è affatto interessata al dialogo, o tanto meno, ad un duraturo accordo di pace con Israele. La "road map" punta ad una soluzione in due stati. Ma Hamas ha in mente un diverso traguardo; uno stato islamico che comprenda quello che ora è Israele.
Hamas e altri gruppi hanno accolto l'ultima iniziativa di pace costituendo un consorzio del terrore. Quando inviano giovani palestinesi a massacrare gli israeliani con missioni suicide, lo fanno con la chiara intenzione di provocare dure rappresaglie da parte d'Israele. Al di là delle tregue vere o false offerte, ciò a cui ambiscono non è un giusto compromesso ma un clima di vendetta e conflitto perenne che tagli le gambe ai moderati, come Abu Mazen, sinceramente intenzionati a negoziare una soluzione a due stati. Molti europei sembrano considerare i gruppi terroristici e Ariel Sharon sullo stesso piano morale. Non si tratta di sofismi ma di sofisticazione. Nonostante l'ampia opposizione in seno al suo stesso partito, e senza alcun sostegno politico da parte del fiaccato partito laburista, Sharon ha invocato uno stato palestinese, ha infranto un tabù del Likud facendo riferimento in pubblico alla "occupazione" dei territori palestinesi e ha annunciato la sua volontà di evacuare alcuni avamposti e alcuni insediamenti. Questo ha scatenato massicce dimostrazioni di protesta da parte dei coloni, e tra loro alcuni dei più militanti hanno giurato che combatteranno per non essere evacuati. Dato il suo passato di principale patrono dei coloni, lo scetticismo è certamente d'obbligo. Ma che Sharon abbia abbracciato la causa di una soluzione a due stati è una supposizione confutabile che può essere messa alla prova. Cosa che non sarà possibile fare fintanto che Hamas continua a negare ad Israele il diritto di esistere.
L'Europa deve operare seriamente per far chiudere bottega ad Hamas. I governi dell'Ue devono usare la loro considerevole influenza politica ed economica – compresi i 500 milioni di dollari di aiuti all'autorità palestinese – per sostenere la posizione del nuovo primo ministro Abu Mazen e isolare Hamas e i gruppi terroristi. Devono aiutare Mazen e il suo capo della sicurezza, Mohammad Dahlan, a ricostruire una forza di sicurezza palestinese che sia essa stessa incontaminata dal terrorismo e in grado di reprimere i terroristi. Devono fare pressioni diplomatiche concertate su Iran, Siria e Arabia Saudita perché sospendano il flusso di aiuti finanziari ad Hamas, agli Hezbollah e altri gruppi. E nessun leader europeo dovrebbe incontrare Arafat, che è troppo complice del terrorismo per poter mai essere un partner credibile o un leader di una Palestina indipendente e democratica.
L'America, da parte sua, deve fare maggiori pressioni su Sharon perché mitighi la ferocia delle rappresaglie israeliane. Considerata l'ondata di attacchi lanciati contro i terroristi, dall'Afghanistan, allo Yemen, all'Iraq, gli Stati Uniti non sono nella posizione di poter condannare moralmente l'assassinio dei leader di Hamas o altri gruppi terroristici che complottino atrocità contro i civili israeliani. Ma possono insistere perché Israele dimostri maggiore riguardo per le vite dei civili palestinesi, ad esempio, mettendo fine agli attacchi missilistici dei loro elicotteri contro auto in strade affollate. Per Israele, però, la vera resa dei conti verrà solo dopo che Hamas e gli altri gruppi terroristici saranno sconfitti. Una volta che i palestinesi avranno dimostrato la loro volontà di abbandonare la violenza, l'onere della prova passerà ad Israele. Dopo aver finalmente ottenuto la sicurezza, sarà obbligata a rinunciare a dei territori e a negoziare sul serio confini credibili per lo stato palestinese. Questo scatenerà un lacerante conflitto con i coloni, molti dei quali propugnano una ratifica religiosa alla loro visione di una Grande Israele che comprenda tutte le terre ad ovest del Giordano. È questa visione, non la dura politica militare di Ariel Sharon, che rappresenta l'ostacolo principale alla pace da parte israeliana. Potrà sembrare ironico, ma Sharon potrebbe essere l'unico leader israeliano abbastanza forte – con il fermo sostegno sia americano che europeo – per smantellare gli insediamenti e favorire la nascita di uno stato palestinese.
Secondo articolo:
"I fratelli che rifiutano la teoria dei due stati"
di Pietro Somaini

L'"uccisione mirata", sabato scorso, di un responsabile dell'ala militare di Hamas da parte di un commando israeliano, in risposta ad un'infinita catena di attentati, stragi e ritorsioni, rischia, naturalmente di alimentare nuove azioni terroristiche. E', tuttavia, significativo che il Segretario di Stato Colin Powell, presente al Forum economico mondiale, abbia affermato che l'incidente non deve fermare le parti nell'applicazione della "road map", definita ai primi di maggio. Qualche giorno fa Powell aveva definito Hamas «nemico della pace», lasciando intendere che, nell'impossibilità di farlo da parte delle forze dell'Autorità palestinese, si sarebbe dovuto lasciare mano libera all'esercito israeliano nella distruzione dell'organizzazione islamica, come premessa all'avvio del nuovo processo di pace. L'impressione delle ultime ore, il sì di Hamas alla tregua che, però, purtroppo, potrebbe essere smentito dalla ripresa di stragi e vendette in qualsiasi momento, è che qualche margine di compromesso tra Ap, Al Fatah e Hamas e Israele ancora sussiste.
La storia dello Harakat al mqawama al islamia (Movimento di resistenza islamica Hamas, che vuol dire anche zelo) ci dice che esso è una filiazione della Fratellanza Mussulmana (Fm) egiziana, già presente a Gerusalemme dal 1946. Dopo la guerra del '48 aveva perso peso e influenza, specialmente a Gaza, durante l'occupazione egiziana della striscia, soprattutto sotto Nasser, tra il '48 e il '67. La grande fioritura della Fm, sotto la ferrea (per l'Olp) occupazione israeliana tra il '67 e l'89 vede passare il numero delle moschee a Gaza da 77 a 200, la creazione dell'università islamica e di un fitto tessuto caritativo e sociale di scuole, ospedali, ambulatori, dispensari, associazioni di sostegno ai disagiati, fondati sui finanziamenti della zakat, della colletta tra la diaspora palestinese e un massiccio aiuto saudita.
Hamas non si riconosceva nell'Olp, seguiva una via "riformista", basata sulla ricostruzione dal basso dell'identità religiosa e morale islamica, all'interno della società araba sul tipico modello voluto da Hassan el Banna nel '28 alla fondazione della Fratellanza. A Israele interessava lasciar crescere un soggetto che rifiutava l'adesione all'Olp. Una prima svolta di Al mujamma al islami – così si chiamava dalla fine degli anni Settanta la Fm sotto la direzione dello sceicco Ahmed Yassin, la paralitica e venerata guida spirituale del movimento – si ha con lo scoppio della prima Intifada il 9 dicembre '87 e la formazione di un apparato di autodifesa, più che da parte d'Israele, nei confronti dei gruppi nazionalisti laici e marxisti dell'Olp. Nell'agosto dell'88 il raggruppamento di Yassin diventa Hamas e si definisce come movimento islamico palestinese che riprende tutte le posizioni nazionalistiche massimalistiche che l'Olp aveva cominciato ad abbandonare con quel congresso che si svolgerà lo stesso anno ad Algeri. Hamas, dunque, si propone di applicare il dominio dell'Islam sull'intera Palestina, dal Giordano al Mediterraneo. La terra di Palestina, Israele compresa, viene definita come un bene, una fondazione islamica incedibile. La guerra santa viene considerata un dovere individuale di ogni mussulmano. Dall'88, dunque, Hamas diventa un movimento apertamente nazional-religioso massimalista che rifiuta la soluzione basata sui "due Stati", accettata dall'Olp nell'88 e proseguita durante tutto il periodo del processo di pace di Oslo, tra il '91-92 e il 2000. La svolta terroristica, dopo gli scontri tra Olp e Hamas nella moschea Filastin di Gaza del '94 che vedono una ritirata tattica di Hamas, si ha, dopo l'assassinio di Itzakh Rabin, con i grandi attentati suicidi del febbraio-marzo '96 a Gerusalemme, Ashkelon e Tel Aviv, seguiti nel '97 da altre stragi a Tel Aviv e Gerusalemme.
Allora si trattava di silurare la campagna elettorale di Shimon Peres e far vincere l'intransigente Benjamin Netanyahu. Il breve e disastroso governo del laburista Ehud Barak tra il '98 e il 2000, con la disorganizzata ritirata dal Libano meridionale, vissuta dal mondo palestinese e arabo, come un trionfo militare degli Hezbollah sciiti libanesi, con il fallimento dei negoziati di Camp David nel luglio Duemila è stato la terra di coltura della seconda Intifada, scoppiata il 29 settembre dello stesso anno dopo la tragica passeggiata di Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee o Monte del Tempio. Nella radicalizzazione succeduta all'avvio dell'Intifada al Aqsa, ormai da quasi tre anni e dopo 3400 morti, Hamas, che prima poteva contare su un seguito di circa il 20-30 per cento della popolazione palestinese ha teso a prendere il sopravvento, sia per la propria ramificata struttura assistenziale foraggiata dai sauditi e, in minor misura, pare, dagli iraniani, sia per il proprio massimalismo nazional-religioso, sulle organizzazioni legate all'Olp e all'Ap, provocando una dinamica di concorrenza verso il peggio con le filiazioni estremiste dei Tanzim, dei Martiri di al Aqsa ecc., provenienti dallo sfilacciato Al Fatah e da altri gruppi.
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