La politica mediorientale di Washington alla luce dei fatti di Gaza
Analisi di Antonio Donno
Gli Stati Uniti hanno un ruolo importante nella guerra di Gaza. Il posizionamento di alcune navi americane come avvertimento nei confronti dell’Iran, oltre che gli aiuti militari a Israele, significano che Washington intende mettere in guardia l’Iran di non fare alcun passo a favore di Hamas. Anche l’attività bellica di Hezbollah si limita al lancio di pochi razzi, senza alcuna intensificazione militare contro i confini settentrionali di Israele. Con queste misure gli Stati Uniti hanno preso una posizione netta a sostegno dello Stato ebraico, consapevoli che l’attacco di Hamas contro Israele rappresenta un evento non limitato territorialmente, ma una sollecitazione rivolta a tutte le formazioni terroristiche che, armate e finanziate dall’Iran, possono intervenire per accerchiare Israele in un conflitto aperto. La presa di posizione del governo Biden non vuol dire, almeno per ora, che gli Stati Uniti intendano riprendere le passate posizioni in gangli importanti della regione mediorientale. L’uscita dall’Afghanistan ha rappresentato la volontà americana di estromettersi dalle questioni mediorientali, proseguendo nella pessima politica di Obama a proposito del ruolo americano negli affari internazionali. Da quell’infausta politica obamiana sono scaturite conseguenze negative per gli Stati Uniti e per tutto l’Occidente democratico, e anche, nel nostro caso, per Israele. L’avanzata lenta ma efficace della Cina nelle questioni politico-economiche globali e della Russia putiniana – per quanto, in quest’ultimo caso, nella misura consentita dalle pesanti condizioni economiche del paese – ha avuto un riflesso importante nell’orientamento generale del Medio Oriente, nel quale oggi l’Iran gioca un ruolo centrale, avendo le spalle coperte da Mosca e da Pechino. Le conseguenze politiche sono ricadute su Israele. Benché Netanyahu sia riuscito a dare vita agli “Accordi di Abramo” con vari paesi arabi sunniti in funzione anti-iraniana, è comunque evidente che il peso politico di Teheran nella regione va aumentando, grazie alla vasta azione diplomatica che la dirigenza iraniana va sviluppando anche nei confronti dei paesi che fanno parte degli accordi con Israele. Il contesto politico che si è andato delineando nel Medio Oriente in conseguenza del ritiro americano dalla regione e dall’ingresso sostanziale di Cina e Russia in questo scacchiere cruciale del sistema politico internazionale ha avuto ed ha riflessi importanti nella politica di Gerusalemme nella situazione attuale e soprattutto in prospettiva. L’attacco di Hamas da Gaza non è soltanto un episodio terroristico fine a se stesso, ma l’esito dell’interpretazione che i dirigenti di Hamas hanno elaborato sulla base della situazione della regione e del ruolo sempre più incisivo dell’Iran. Essi hanno ritenuto che fosse giunto il momento di un attacco congiunto delle varie formazioni terroristiche sostenute da Teheran intorno a Israele. Per ora, questo non è avvenuto ed è probabile che i terroristi di Hamas stiano valutando con preoccupazione lo sviluppo degli avvenimenti. L’avanzata distruttiva dell’esercito israeliano nel territorio di Gaza e la posizione americana nei confronti dell’Iran, e di riflesso delle altre formazioni terroristiche filo-iraniane, rivela il fallimento del piano di Hamas. Tuttavia, non vi è nulla di definitivo nella situazione attuale: tutto è in evoluzione. La prima considerazione riguarda Teheran. Se Hamas dovesse essere cancellato da Gaza, l’Iran verrebbe a perdere una posizione molto importante sul Mediterraneo Orientale e quasi ai confini del Sinai, che è parte dell’Egitto, ma che viene penetrato facilmente dai terroristi di Gaza. Questo pericolo è certamente valutato dagli ayatollah iraniani, ma la posizione assunta da Washington intima a Teheran di non prendere iniziative controproducenti. La seconda valutazione riguarda le eventuali prospettive della politica mediorientale degli Stati Uniti. L’azione terroristica di Hamas contro Israele ha suscitato una forte reazione nell’opinione pubblica americana. Di questo ha dovuto tener conto Biden, anche in considerazione delle future elezioni presidenziali del 2024. Ma l’iniziativa di Washington nei confronti degli eventuali movimenti di Teheran potrebbe significare un mutamento di rotta nella politica mediorientale degli Stati Uniti. Ma questa eventualità è legata a fattori che allo stato attuale è difficile prevedere.
Antonio Donno