Quale meccanismo grossolano e perverso porta plausibili vittime a schierarsi dalla parte di sicuri carnefici? Cosa s'agita nella mente di bambocci ignoranti e incoscienti a solidarizzare con i mostri che hanno firmato (e filmato) il massacro del 7 ottobre? Bisogna consultare uno psicopatologo, un sociologo delle masse o un analista politico? Ricorrere alle categorie della malattia mentale o a quelle dell'infezione ideologica? Compatirli per via della giovane età e della crassa ignoranza, e decidere di ignorarli perché in fondo si tratta solo di fenomeni marginali? Il pogrom di Hamas ha rivelato - per chi avesse mai avuto dubbi - l'indefettibile sconsideratezza di alcuni e la pavida acquiescenza di altri, facendo venire a galla forme e paradigmi del più primitivo antisemitismo. Tra questi ve n'è uno che considero, forse per ragioni autobiografiche, particolarmente ripugnante. Mi riferisco a quei gruppetti che da una parte si dichiarano avvocati incorruttibili a favore dei diritti lgbtqia (e, sia detto senza sarcasmo, chi + ne ha + ne metta) ma che contemporaneamente manifestano comprensione e addirittura fratellanza nei confronti dei terroristi islamici di Hamas, palesando il proprio odio nei confronti di Israele. Siamo di fronte ad uno di quegli assurdi della storia e del pensiero tali da non permettere di darsi una risposta anodina. Quel che semmai dobbiamo chiederci, e che insieme a noi dovrebbero chiedersi quanti sono persuasi di pensare e agire 'in buona fede', qual è stato il processo che ha portato all'affiorare - e ora a tollerare con benevola arrendevolezza - dichiarazioni e comportamenti tanto stomachevoli. La verità, o almeno una delle verità, è che assistiamo a un profondo deficit di cultura politica, etica e civile da parte di chi si proclama - e senza ironia - progressista e scagiona fino a lodare chi massacra donne e uomini e bambini e vecchi, la cui unica colpa è quella di essere ebrei. Facendo degli assassini dei simil-eroi che quando incarnano il potere, non si fanno il minimo scrupolo a torturare e impiccare gli omosessuali, incuranti degli educati acronimi occidentali. Gli stessi che sono pronti a seviziare, stuprare e schiavizzare le donne. A cancellare con fiera brutalità ogni diritto di parola e chiunque osi contrastarli. Su altri fronti, molto più affollati, si riaffaccia un'ipocrita equidistanza e un pusillanime ricorso alla categoria della presunta 'complessità dei fatti', il tutto condito da un fittizio umanitarismo e da un ben più sostanzioso odio nei confronti dell'Occidente e dei suoi valori fondanti tanto duramente conquistati. Si tratta di un fiume carsico che nel sottosuolo delle nostre civiltà liberali è diventato emissario e immissario di correnti più antiche che confluiscono nella maleodorante fogna dell'antisemitismo. All'indomani di quello sciagurato sabato qualcuno ci aveva avvisato che non sarebbero trascorse più di 48 ore perché si levassero i distinguo e le prese di distanza e che sarebbero seguite - in un crescendo chiassoso e sempre più spudorato - dichiarazioni indecenti a favore dell'islam la cui mostruosità non ha bisogno di essere dimostrata. Quel che più inquieta non è tanto la presenza episodica e ridotta di qualche sigla patetica ma, semmai, il silenzio di tutti gli altri. Sì, perché il vero problema è il medesimo con cui si misurò la generazione che ci ha preceduto e che tanto - e tanto giustamente - le abbiamo rimproverato: il tacere minimizzante e acquiescente che diventa piaccia o no, complicità e corresponsabilità; il fatuo ridurre a fenomeni ritenuti tutt'al più sgarbati ciò che dovrebbe essere riconosciuto come malattia micidiale; l'assenza di ogni protesta globale e definitiva contro il male assoluto. Perché il male, con buona pace per i filosofi improvvisati, i perplessi e gli imbarazzati, i vanesi scienziati della politica, gli scaltri esperti del vivere collettivo, è male e basta. E tale rimane per ogni essere umano che voglia essere riconosciuto come tale. Per molti non sarà facile, e vi dico perché. Perché c'è il rischio di perdere amicizie decennali e solidi pezzi di identità. Perché c'è l'obbligo di impegnarsi in una faticosa revisione dei paradigmi politici e ideologici fino ad allora ritenuti intoccabili. Ridiscutere con se stessi e con le proprie comunità di appartenenza molte delle convinzioni con le quali si è cresciuti e dentro alle quali ci si sente al sicuro. E' dura, lo ammetto. E anche qui parlo per esperienza diretta. Amicizie spezzate, liti a non finire, confusione, senso di smarrimento e di solitudine. Ma anche una grande boccata di ossigeno nella consapevolezza di essersi conquistati un inatteso pezzo di libertà. Perché avere il coraggio di dirsi e dire la verità ad alta voce aiuta noi stessi e magari, chissà, rende questo mondo un poco meno schifoso.