Gli Stati Uniti sono a una svolta cruciale nella guerra contro il jihadismo
Analisi di Antonio Donno
Solo quando i carri armati israeliani avranno varcato il confine di Gaza e avranno iniziato il confronto definitivo con i terroristi di Hamas, si evidenzierà la posizione politica degli Stati Uniti dopo il sostegno dato a Israele per il massacro dei civili israeliani il 7 ottobre scorso. Un fiume di abitanti di Gaza si sono spostati verso il sud della Striscia, ma molti sono rimasti nelle loro case. In questo caso, con ogni probabilità, l’invasione di Gaza da parte di Gerusalemme provocherà molti morti fra i civili arabi. Il quadro tenderà a offuscarsi e le ragioni di Israele subiranno un’involuzione a livello internazionale. Questo scenario potrà rivelarci l’eventuale riposizionamento di Washington sull’intera questione. Solo se il governo americano dovesse mantenere invariato il suo atteggiamento nei confronti delle ragioni di Israele, il quadro internazionale, e particolarmente quello occidentale, potrebbe mantenere inalterate le posizioni di condanna della carneficina operata da Hamas e di supporto a Israele, anche nel caso di un’azione di sistematica eliminazione dei terroristi all’interno di Gaza.
Non c’è da illudersi, però. Russia e Cina attendono l’evolversi degli eventi, in specie l’atteggiamento degli Stati Uniti. Se Biden dovesse confermare il sostegno americano alla ripulitura israeliana di Gaza dalla presenza di Hamas, Mosca e Pechino si schiererebbero apertamente dalla parte dell’Iran, che fornisce armi e denaro a Hamas e a Hezbollah. Il che metterebbe Israele in una posizione di grande difficoltà, cosa che costringerebbe gli Stati Uniti a schierarsi dalla parte dello Stato ebraico anche dopo la fine della guerra di Gaza e per un tempo indefinito. Si tratterebbe di una modifica sostanziale della politica mediorientale di Washington, finora molto attenta a non atteggiarsi a difensore di Israele e a sviluppare una prospettiva indirizzata alla pacificazione dell’area con la fondazione di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Per tutti questi motivi, la prospettiva politica del quadrante mediorientale è incerta.
Del resto, nel passato Washington ha avuto un atteggiamento cauto, per non dire elusivo, nei confronti di Israele, in particolar modo nella guerra del 1967 (la “guerra dei sei giorni”) e in quella del 1973 (la “guerra dello Yom Kippur”). Nella prima, il governo di Lyndon Johnson rimase alla finestra, osservando lo svolgersi degli eventi; solo dopo la fine del conflitto, gli Stati Uniti inneggiarono alla vittoria dello Stato ebraico. Nella guerra del 1973, solo nella fase più critica per Israele, Nixon e Kissinger decisero di fornire un quantitativo ridotto di armi a Tel-Aviv per impedire all’esercito siriano di Assad di sconfinare al di là delle Alture del Golan e invadere Israele. Erano gli anni della guerra fredda e Washington non intendeva mettere a repentaglio le posizioni americane nel Medio Oriente con un massiccio sostegno militare a Israele, cosa che avrebbe spinto Mosca a fare altrettanto con i suoi fantocci nella regione.
Con il crollo dell’Unione Sovietica, la guerra fredda è finita, ma il Medio Oriente è rimasto una zona calda nello scenario internazionale. Per Israele il pericolo è costituito dall’Iran, che supporta le formazioni terroristiche che lo circondano. La guerra di Gaza pone, dunque, agli Stati Uniti un interrogativo cruciale, perché rappresenta un passaggio fondamentale per la posizione internazionale di Washington di fronte ai progetti egemonici di Russia e Cina. Non è una guerra locale, perché potrebbe implicare l’ingresso delle grandi potenze in un contesto più generale di confronto. Tuttavia, se nei prossimi giorni, con l’ingresso dell’esercito israeliano a Gaza, Washington dovesse ridimensionare il proprio atteggiamento nei confronti di Israele, ciò costituirebbe un successo molto importante per l’Iran, la Russia e la Cina.
La Jihad islamica, oggi nelle vesti di Hamas, deve essere eliminata da Gaza. Gli abitanti di Gaza vittime dell’offensiva israeliana dovranno essere considerati opera di Hamas, che ha fatto di loro carne da macello da esporre all’opinione pubblica mondiale. L’eliminazione di Hamas è un capitolo fondamentale della nuova guerra della democrazia contro la barbarie jihadista.
Antonio Donno