La crisi del Maghreb
Analisi di Antonio Donno
Le due immense fasce territoriali a nord e a sud del Sahara, il Maghreb e il Sahel, sono in crisi. Il Sahel, come si è detto in precedenti articoli su “Informazione corretta”, soffre di una instabilità politica dovuta a vari fattori: la presenza russa, le incursione del terrorismo jihadista, le crisi politiche di alcuni Paesi (Mali, Niger, Ciad, Sudan), il post-colonialismo della Francia in alcune aree ricche di petrolio e gas naturale. A questa instabile realtà oggi si aggiunge una nuova instabilità ancor più pericolosa per la sua posizione strategica. Gli Stati del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto), cioè una fascia territoriale che va dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso e che si affaccia interamente sul Mediterraneo meridionale, soffrono di una crisi politico-economica che ne mette in pericolo la stabilità a vari livelli.
Il Marocco, che finora aveva goduto di una certa stabilità, oggi vede svilupparsi una contestazione interna, soprattutto nelle fasce giovanili, contro il monarca Mohammed VI, al potere da diversi decenni, colpevole di non avere realizzato quelle riforme promesse a suo tempo e di non aver dato impulso all’economia. Ultimamente a Rabat, la capitale, si sono avute proteste contro la gestione del potere, accusato di aver bloccato lo sviluppo del Paese. Il recente terremoto non ha fatto altro che complicare la situazione generale. Al di là delle occasionali scaramucce ai confini con il Marocco, dal 2019 l’Algeria è in una situazione di crisi politico-economica, caratterizzata dalle proteste popolari (hirak) contro il presidente Abdelaziz Bouteflika, che si è riproposto per la quinta volta alla presidenza del Paese, nonostante la sua incapacità di far fronte alla crisi economica e sanitaria (Covid-19) dell’Algeria. Allo stesso modo, la Tunisia è caduta in difficoltà economiche di sempre più grave entità, che provocano proteste continue contro il presidente Kaïs Saïed. Inoltre, il continuo flusso migratorio che parte dalla Tunisia verso l’Europa – in particolare, verso l’Italia – ha posto il governo tunisino in una situazione di contrasto con l’Unione Europa, anche per il fatto che il presidente nega qualsiasi riforma che metta in crisi il suo potere. La situazione della Libia è drammatica. È un Paese scisso in due parti, con due governi diversi in conflitto tra di loro e con la presenza della Russia nella Cirenaica grazie ai miliziani della Wagner. Quest’ultima è stata colpita da una terribile alluvione che ha provocato migliaia di morti e aggravato la condizione economica della popolazione. L’Unione Europea è passiva di fronte a questa tragica realtà; anzi, ha agito in violazione dei diritti umani, secondo le Nazioni Unite, quando ha tentato di bloccare il flusso migratorio verso il suolo europeo.
Lasciamo perdere.
La gravità della situazione dei Paesi del Maghreb è ora assai più complicata dalla crisi in atto in Egitto, il Paese che sembrava il più stabile della regione. La causa principale di questa crisi è dovuta alla grave inflazione che ha colpito il reddito delle famiglie egiziane, inflazione dovuta anche alla crisi delle importazioni di grano a causa della guerra in Ucraina. A ciò si è aggiunto il calo sostanziale del turismo e la fuga degli investitori stranieri dal Paese, cosa che ha privato il Paese di molti miliardi di dollari di entrate. Ma ora sta venendo al pettine la ragione principale della crisi economica dell’Egitto: il potere dei militari in ogni aspetto della vita politica ed economica del Paese. Dal 2013, con l’ascesa al potere del generale Abdel Fattah al-Sisi la politica e l’economia del Paese sono interamente gestite dai militari. La gran parte delle aziende sono nelle loro mani, causando una riduzione gravissima della presenza dei privati, egiziani e di altri Paesi, nella struttura economica egiziana. Il potere economico, così concentrato nelle mani dei militari, ha prodotto nel tempo una corruzione sempre più accentuata. La sezione più giovane del Paese, quella giovanile, ha da tempo messo in moto un processo di critica nei confronti del potere di Al-Sisi e dei militari che lo sostengono grazie agli interessi economici che il presidente garantisce loro. Ogni forma di protesta viene sistematicamente schiacciata con arresti e violenze della polizia. Il potere dei militari non è in grado di placare la protesta se non con mezzi che finiscono per indebolire il regime. Prospettive oscure per la stabilità dell’Egitto.
Antonio Donno