Israele e Hamas: ricordare è un obbligo 27/08/2023
Diario estivo israeliano di Deborah Fait
Autore: Deborah Fait
Israele e Hamas: ricordare è un obbligo
Diario estivo israeliano di Deborah Fait

A destra: il piccolo Daniel Tragerman

L’Operazione “Margine Protettivo” è stata la più grande campagna militare di Israele contro i terroristi di Hamas e di altri gruppi nella Striscia di Gaza. L’obiettivo era porre fine agli attacchi terroristici palestinesi che avevano raggiunto l’apice della ferocia con l’attentato al Park Hotel di Natania quando un terrorista palestinese si fece esplodere dentro una sala di ricevimenti ammazzando 30 persone e ferendone altre 140. Israele doveva fermare anche il lancio continuo di missili, centinaia ogni giorno, che Hamas sparava contro la popolazione civile di Israele. In pochi giorni più di 3000 missili e colpi di mortaio vennero sparati contro Israele. Poi ci fu la tregua. Come sempre quando le cose si mettono male per i palestinesi aggressori, il mondo si sveglia a impone a Israele di fermarsi. Accade dal 1948 e per questo motivo ancora oggi ne subiamo le conseguenze, non ci è mai stato permesso di portare a termine un’operazione di guerra e di finirla una volta per tutte con l’incubo del terrorismo. Israele ha sempre dovuto fermarsi e rispettare la tregua in attesa che il nemico, fregandosene della parola data, ricominciasse. Così accadde anche nel 2014. Gli USA imposero la tregua, Israele si ritirò dalla Striscia ma Hamas, dopo pochi giorni, infranse gli accordi e ricominciò a sparare missili contro i kibbuz vicini alla Striscia di Gaza e contro le città e villaggi israeliani. Da ricordare che la sirena (Zeva adom- allarme rosso) avvisava i residenti del pericolo ma, a volte, tra l’avviso e il colpo che arrivava, passavano pochi minuti, a seconda della vicinanza alla Striscia. Il 24 agosto del 2014 una pioggia di fuoco colpì il territorio israeliano, ben 135 tra missili e colpi di mortaio. Le sirene non la smettevano di suonare. Chi, come me, aveva nel cellulare l’applicazione Zeva Adom, viveva ore di angoscia, quella voce metallica che ripeteva senza sosta quelle due parole, ci faceva tremare. Per la strada vedevo persone con il cellulare in mano che controllavano disperate quello che stava accadendo al sud e di cui eravamo informati in tempo reale. Il Kibbuz Nahal Oz è molto vicino alla Striscia ed era là che viveva la famiglia Tragerman, Gila e Doron con i loro tre bambini, Daniel, Yuval e Uri. Quando la voce metallica incominciò a scandire le parole -Zeva adom…Zeva adom...- tutti, nel kibbuz, scapparono verso il rifugio più vicino ma il colpo di mortaio arrivò prima che Daniel, che giocava dentro a una tenda in giardino, potesse uscire e mettersi in salvo. Avrà sentito come ultima cosa le urla della mamma e del papà che lo chiamavano disperati, poi una scheggia del mortaio lo colpì a morte. Aveva quattro anni. Ricordo una sua fotografia, bello come il sole, con la maglia bianco azzurra della Nazionale argentina di cui era tifoso. Daniel è stata la più giovane vittima di quell’operazione, insieme a lui, quel giorno, morirono altri cinque israeliani. Israele era in lutto, per le strade la gente era silenziosa, si sentiva anche fisicamente il dolore per la morte di quel bambino bello e innocente che voleva solo giocare, vivere e ridere come tutti i bambini. Io sentii l’impulso di entrare da un fioraio e mi accorsi che come me, altri avevano avuto lo stesso pensiero: mandare fiori e un pupazzetto a quella povera famiglia che stava seppellendo il suo bambino. I suoi assassini, anche se Gaza era stata semidistrutta dalla contraerea israeliana, festeggiavano come tanti idioti innamorati della morte. In Israele la vita vince sempre e pochi mesi dopo la mamma di Daniel mise al mondo la sua sorellina. “Volevo solo vederlo crescere” disse al suo funerale. Oggi Daniel avrebbe 13 anni, rimangono il suo ricordo e la sua immagine dolce e sorridente con quella maglia bianco azzurra della Nazionale argentina .

Immagine correlata

Deborah Fait