Per indebolire Hezbollah, bisogna indebolire l'Iran 20/08/2023
Analisi di Ben Cohen
Autore: Ben Cohen
Per indebolire Hezbollah, bisogna indebolire l'Iran
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)

https://www.jns.org/middle-east/lebanon/23/8/18/311664/

Per la Germania non c'è distinzione tra ala militare e politica: Hezbollah  è un gruppo terroristico

Non è certo una rivelazione che Hezbollah, il gruppo terroristico sciita appoggiato dall'Iran in Libano, sia ancora una volta impegnato in provocazioni lungo il confine settentrionale di Israele.     Dal punto di vista di Hezbollah, il momento è abbastanza favorevole. Per mesi, Israele è stato sconvolto da una crisi politica interna senza precedenti. Nel frattempo, su scala globale, la profusione di conflitti armati che potrebbero potenzialmente coinvolgere armi di distruzione di massa, con la brutale invasione dell'Ucraina da parte della Russia, emblematica su questo punto, ha lasciato i Paesi occidentali più nervosi del solito. Se Hezbollah sta scommettendo che i tradizionali alleati di Israele saranno più riluttanti a schierarsi per la sua sicurezza a causa dell'inquietudine generale riguardo al programma di riforma giudiziaria dell'attuale governo israeliano, tutto questo potrebbe non essere così fuori luogo.

Il leader di Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, si è lasciato prendere dalla sua solita pomposità dicendo agli israeliani, in un discorso per celebrare il 17° anniversario della guerra del 2006 con Israele (che Hezbollah chiama la “Vittoria Divina”), che in qualsiasi conflitto futuro saranno bombardati fino a ridurli all’ " Età della Pietra”. “Se la battaglia si trasformerà in una guerra contro l'asse della resistenza, non resterà più nulla di quello che è Israele", si è vantato. Si potrebbe aggiungere che un conflitto di tale intensità cancellerebbe probabilmente anche il Libano dalla carta geografica, ma a Nasrallah questo non interessa. La scorsa settimana c'è stato un piccolo ma gradito sviluppo nel riconoscimento della minaccia rappresentata da Hezbollah, quando gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni contro un'apparente ONG ambientalista (in realtà, una copertura per Hezbollah) chiamata “Green Without Borders”(“Verdi senza frontiere”).  Come ha spiegato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller, il gruppo e il suo capo, Zuhair Subhi Nahla, hanno permesso che i loro siti fossero “utilizzati per condurre l'addestramento di Hezbollah alle armi , per fornire supporto alle attività di Hezbollah lungo la Linea Blu nel Sud del Libano e per impedire la libertà di movimento della Forza provvisoria delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL) su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.” Lodando la mossa degli Stati Uniti, l'ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha invitato il Consiglio di Sicurezza a seguire l'esempio americano e ad applicare le proprie sanzioni a “Green Without Borders.”
Questo sarà probabilmente un compito più fastidioso, anche perché i rappresentanti dell'UNIFIL hanno costantemente minimizzato i legami tra "Verdi senza frontiere" e Hezbollah, tramite il suo portavoce Andrea Tenenti che ha insistito fino a gennaio sul fatto che il gruppo non aveva fatto "nulla" per violare la Risoluzione 1701, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ha posto fine ai combattimenti nel 2006.
In ogni caso, mentre "Green Without Borders" è un utile esempio sia dell'astuzia politica di Hezbollah sia della lenta consapevolezza all'interno di parti della comunità internazionale che nulla cambierà l'obiettivo principale del gruppo terroristico di una guerra di annientamento contro Israele, le sanzioni e le altre misure contro una singola ONG non scuoteranno la determinazione di Hezbollah. Su questo punto, la verità non è cambiata: per indebolire Hezbollah, devi prima indebolire l'Iran, il suo principale sponsor. Purtroppo, quando si tratta di trattare con l'Iran, l'amministrazione del Presidente Joe Biden ha evitato di affrontare il regime islamico, cercando invece di placare i suoi peggiori istinti. La credibilità degli Stati Uniti su questo versante è stata gravemente minata dalle buffonate di Robert Malley, inviato dell'amministrazione americana e artefice chiave dell'accordo nucleare iraniano del 2015, il cui nulla osta di sicurezza è stato sospeso questo mese in circostanze che il Dipartimento di Stato deve ancora spiegare.

Malley ora è ufficialmente in congedo ed è andato a insegnare nell'atmosfera rarefatta della Princeton University, mentre il resto di noi rimane a interrogarsi su quale direzione prenderà la politica americana nei confronti dell'Iran.
Tutte le indicazioni dicono che la politica di pacificazione continuerà.
Non è come se gli Stati Uniti abbiano un qualche amore per il regime iraniano, che ha assassinato centinaia di americani e costantemente demonizzato questo Paese nei 44 anni successivi alla rivoluzione islamista in Iran,  o che Washington sia semplicemente all'oscuro dell'enorme contributo dell'Iran all'instabilità globale (dal sostegno militare all'imperialismo russo all'aiuto alle milizie sciite in Iraq e Yemen, così come in Libano insieme ad Hamas a Gaza).  Alla radice, gli Stati Uniti hanno accettato che l'instaurazione di un regime iraniano disponibile ai negoziati possa avvenire solo attraverso gli sforzi del popolo iraniano, e non attraverso un intervento esterno. Fino ad allora ( e potrebbero volerci settimane o mesi, ma sfortunatamente molto probabilmente anni) gli Stati Uniti devono danzare con un partner di cui non hanno alcuna ragione di fidarsi.

Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno revocato il congelamento di quasi 6 miliardi di dollari di beni iraniani bloccati, in cambio del rilascio di cinque cittadini con doppia cittadinanza statunitense e iraniana imprigionati nelle carceri iraniane. Naturalmente, uno dei compiti di qualsiasi governo è quello di assistere i propri cittadini quando si trovano all'estero in circostanze angoscianti, ma il problema qui è che gli iraniani vedono qualsiasi concessione degli Stati Uniti come un segno di debolezza e quindi spingono per averne sempre di più.   Ecco perché il discorso sul rilancio del Piano d'Azione Globale Congiunto (JCPOA) del 2015, il nome tecnico dell'accordo con l'Iran, è così allarmante. È vero, l'attuale amministrazione ha una visione più cinica delle ambizioni iraniane rispetto a quella dell'ex Presidente Barack Obama, che è sempre stato manifestamente chiaro  che quando si trattava dell'Iran, il cambio di regime non era un suo obiettivo.

Il presupposto tacito del JCPOA è che il regime attualmente al potere sarà ancora al potere quando entreranno in vigore le "clausole di decadenza" dell'accordo - la scadenza di una serie di restrizioni alla ricerca e allo sviluppo dopo un periodo di diversi anni. E se questo è il risultato che raggiungeremo, allora la dichiarazione di Obama del 2015 che annunciava che l'accordo assicura che "tutti i percorsi verso una bomba sono tagliati" sarà smascherata come la falsità che è sempre stata. Lo stesso Biden ha dato segnali contrastanti riguardo alla rinascita del JCPOA, persino dicendo a un preoccupato interlocutore iraniano durante una campagna elettorale nel dicembre dello scorso anno che “è morto, ma noi  non lo annunceremo.”

Tuttavia, finché l'accordo rimarrà il quadro di riferimento per la diplomazia USA-Iran, gli iraniani saranno in una posizione di comando.  E gli effetti di questo si constateranno in tutta la regione, forse soprattutto in Libano.

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate