'Putin storico in capo', di Nicolas Werth 20/08/2023
Recensione di Diego Gabutti
Autore: Diego Gabutti
Riprendiamo da ITALIA OGGI del 20/08/2023, la recensione di Diego Gabutti.

Putin storico in capo, Nicolas Werth. Giulio Einaudi editore - Vele
Nicolas Werth, Putin storico in capo, Einaudi 2023, pp. 96, 12,00 euro, eBook 4,99 euro.

È nel dicembre del 2016 che la polizia bussa alla porta di Vladimir Bukovsky, professore a Cambridge, ex detenuto nei Gulag psichiatrici dell’Urss brezneviana. Amico di Anna Achmatova, di Iosif Brodskij, di Nadežda Mandel’štam, e autore d’uno straordinario libro di memorie, Il vento va e poi ritorna, Feltrinelli 1978, Bukovsky è il dissidente sovietico che il KGB, quarant’anni prima, ha scambiato con Luis Corvalán, il segretario del Partito comunista cileno detenuto nelle carceri del generale Pinochet. A Bukovsky, che nel frattempo è diventato un arcinemico anche del regime putiniano, i poliziotti sequestrano il computer, nel cui hard disk viene rinvenuto «materiale pedopornografico», come preannunciato da una denuncia anonima giunta a Scotland Yard qualche giorno prima. Passano cinque anni, e «a fine 2021, il 27 dicembre, il tribunale di Petrozavodsk condanna a 15 anni di colonia penale lo storico e attivista Jurij Dmitriev, responsabile di Memorial Carelia, a conclusione d’un processo farsa che lo vede accusato» – guarda un po’ – «di pedopornografia» (come scrive Nicolas Werth, sovietologo e russologo di rango, nel suo Putin storico in capo). Anche «Sergej Koltyrin, storico e direttore del museo di Medvežegorsk», uno studioso poco tenero col regime putiniano, «è stato condannato nel 2018 a nove anni di detenzione per le stesse accuse di “pedofilia” mosse a Dmitriev».

È una classica procedura del servizio segreto russo (l’FSB, come Boris Él’cin, mentore di Putin, ribattezzò il KGB una volta finita la festa sovietica): la mostrificazione dell’avversario accusato della più abominevole delle perversioni (ieri sabotaggio e «parassitismo», oggi abuso di bambini). Dezinformatsiya chiavi in mano, sempre pronta all’uso, che all’occorrenza può essere rivolta anche contro i disinformatori: lo stesso Putin è stato infatti accusato di pedofilia da Aleksandr Litvinenko (il funzionario dell’intelligence passato all’opposizione e liquidato, nella hall d’un hotel londinese, con una tazza di tè al polonio). Ma nel caso di Bukovsky, Koltyrin e Dimitriev la mostrificazione, più che a infangare loro, causando al primo qualche fastidio e agli altri due lunghe carcerazioni, è servita a colpire un altro bersaglio: la Storia, che sotto Vladimir Putin come sotto Stalin prima di lui, torna a pretendere la maiuscola, e a esigere sacrifici umani, come le divinità cannibali nelle storie horror. Bukovsky e gli altri erano nemici, come recita l’Art. 67.1 della Costituzione russa, della «verità storica», che «la Federazione, Stato erede dell’Urss, […] protegge e omaggia» insieme «alla memoria dei difensori della Patria» mentre «proibisce di sminuire l’importanza dell’eroismo del popolo nella difesa della Patria».
Scomparso nel 1919, Bukovsky – che fu tra i primi, dopo il tracollo dell’Urss, a consultare e pubblicizzare gli archivi (oggi di nuovo secretati) del KBG – era uno studioso, un testimone e una vittima di quanto la Costituzione ha cancellato, una sbianchettatura dopo l’altra, dai manuali di storia: gli orrori della guerra civile, il Gulag, il Grande Terrore degli anni trenta, l’Holomodor in Ucraina, le esecuzioni sommarie e le torture, la deportazione d’interi popoli, la guerra dichiarata dal KGB ai dissidenti negli anni sessanta. Idem Koltyrin e Dimitriev, entrambi animatori di «Memorial», l’Ong che per più di trent’anni ha tenuto viva la memoria delle repressioni e illustrato nei particolari la complicità e la stretta parentela dello stalinismo col nazismo. Dal luglio del 2012, quando «viene promulgata la legge “sulle organizzazioni che fungono da agenti stranieri”», Memorial è «obbligata a registrarsi come “agente straniero”», una qualifica che figura da allora «su tutte le sue pubblicazioni e comunicati; dal 2020 l’obbligo di qualificarsi come “agenti stranieri” è esteso anche ai singoli impiegati e componenti dell’Ong». Dal «24 febbraio 2022», infine, da quand’è iniziata l’«operazione speciale» in Ucraina, è inoltre vietato (e severamente punito) «ogni tentativo di porre sullo stesso piano, nella sfera pubblica, le finalità e le azioni dell’Urss e quelle della Germania durante la Seconda guerra mondiale”». Anche soltanto citare le clausole segrete del patto Molotov-von Ribbentrop (la spartizione, cioè, della Polonia tra Hitler e Stalin) è in Russia un reato contro la «verità storica».
Per spiegare che cosa s’intende oggi con «verità storica» in Russia Nicholas Werth cita l’intervista di Oliver Stone, regista radical, allo «storico in capo» di tutte le Russie, Vladimir Putin: «Stalin è una figura complessa, è figlio della sua epoca. Ha trasformato un arretrato paese agricolo in una moderna potenza industriale». Può darsi che «quelle opere grandiose abbiano avuto un prezzo troppo alto. Ci sono state repressioni. È un dato di fatto. Milioni di nostri concittadini hanno sofferto. Bisogna ricordare, però, che la demonizzazione di Stalin è uno degli angoli di tiro che l’Occidente usa per colpire la Russia e l’Unione Sovietica».

Se questa è la «verità storica», e che lo sia è provato da centinaia di sentenze di tribunale e da tutti quei calunniatori di Stalin giustamente finiti in catene, ne consegue che «non è normale che esistano ben “sessantacinque manuali di storia”. I manuali di storia devono infatti esprimere una prospettiva unica e una valutazione ufficiale». Viene pertanto nominata una «Società storica» che per un paio d’anni, tra il 2012 e il 2013, è «alle prese con i “punti piú controversi della storia russa”» e che alla fine stabilisce una “norma comune in materia di cultura e storia in armonia con gli interessi geopolitici della Russia”. Dal 2014-15 tale norma è introdotta nei manuali scolastici, il cui numero si riduce drasticamente a poche unità, che presentano, salvo differenze minime, una sola e unica interpretazione del passato».

Grazie alle «leggi sulla memoria» fioccano le condanne per eresia storiografica (e pedofilia) per gli studiosi che rifiutano l’autorità dello storico in capo e dei suoi manuali «in armonia» con le aspirazioni imperiali dell’autocrazia post-sovietica. Nel breve intermezzo tra il crollo dell’Urss e la sua rinascita sub specie putiniana si pubblicano in Russia non decine ma centinaia e migliaia di libri sulla «veridica storia dell’Unione Sovietica» dalla rivoluzione d’ottobre all’abbattimento della statua di Feliks Dzeržinskij, il fondatore della Ceka, sulla Piazza Rossa. Alcuni di questi libri sono il frutto di collaborazioni internazionali tra storici russi e storici occidentali, come per esempio La tragedia delle campagne sovietiche, un’«opera capitale in 5 grossi volumi sulla collettivizzazione delle campagne e le sue conseguenze pubblicata a Mosca tra il 1999 e il 2007 sotto l’egida dell’Istituto di storia dell’Accademia delle scienze russa e delle università di Boston, Toronto, Seul, Birmingham e Melbourne»; o come «la monumentale Storia del gulag staliniano in 7 imprescindibili volumi». All’origine di questi (e di molti altri) capolavori storiografici, oggi banditi dalle «leggi sulla memoria», c’è Memorial, «agente straniero» per l’Art. 67.1 dalla Costituzione putiniana. Ci sono gli storici, i ricercatori, gli archivisti e, finché sono rimasti in vita, i testimoni del Terrore intervistati dagli agenti stranieri e pedofili che hanno animato Memorial per più di trent’anni.

«Col passare del tempo», scrive Werth nel suo fitto pamphlet, «il posto riservato nei manuali scolastici alle repressioni di massa del periodo staliniano non fa che diminuire. Se negli anni novanta e duemila il tema occupava una ventina di pagine, a partire dal 2014, nei manuali redatti in ottemperanza alla “norma comune in materia di cultura e storia”, l’argomento viene sbrigativamente affrontato in un paio di pagine. In uno degli ultimi manuali di storia russa dai primi del Novecento agli inizi del XXI secolo, pubblicato nel 2021 e in uso nelle ultime classi di liceo, solo poche righe (su 430 pagine totali) evocano di sfuggita il Gulag, alla fine di un capitolo dedicato a L’Urss degli anni Venti e Trenta».

Infine, qualche settimana fa, come si è letto sui giornali, è stato adottato un nuovo manuale, «un manuale unico e definitivo», che secondo la sezione italiana di Memorial va oltre la «norma comune in materia di cultura e storia». Di queste «materie» è piuttosto la definitiva «militarizzazione».

«Secondo il ministro dell’istruzione russo, Sergej Kravcov», scrive Memorial Italia, «l’intento del testo è quello di far comprendere agli scolari gli obiettivi dell’“operazione militare speciale” in Ucraina, spiegando anche le ragioni per cui l’Occidente ha reso inevitabile lo scontro. Il manuale riprende tutti i punti della propaganda putiniana per giustificare l’aggressione all’Ucraina, dal fatto che l’insurrezione in Donbas nel 2014 sarebbe stata spontanea, alla definizione del governo ucraino post-2014 come d’una “junta” andata al potere con un colpo di stato. E soprattutto ripete quanto Putin ha scritto e detto nei suoi interventi pubblici degli anni precedenti all’aggressione, ovvero che il sentimento nazionale ucraino sarebbe il prodotto delle trame dei nemici della Russia, dall’Impero Austro-Ungarico a quello tedesco, fino ad arrivare alla NATO. [...] Per Putin la storia è un mezzo per celebrare la grandezza della Russia», per banalizzare il genocidio dei kulaki, per minacciare olocausti atomici e per inaugurare nuovi monumenti a Stalin (come a Volgograd, il 2 febbraio di quest’anno).

Un’ultima osservazione, per i collezionisti: nessuna, delle «opere monumentali» sulla storia dell’Urss apparse a Mosca prima delle «leggi sulla memoria», ha coinvolto un’università italiana o è stata anche solo tradotta nella nostra lingua. Il vento va e poi ritorna di Vladimir Bukovskij, che a sua volta è un monumento (senza esagerazione) alla letteratura sovietica dissidente, non ha mai avuto – dopo il 1978, quarantacinque anni fa – una seconda edizione.

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Diego Gabutti