Le pericolose ambiguità di Washington sul problema del Medio Oriente
Analisi di Antonio Donno
Joe Biden
In occasione della reazione israeliana a Jenin per eliminare i focolai di terrorismo diffusi in quel territorio, la Casa Bianca ha affermato in mondo chiaro “il diritto di Israele di difendersi”, ma nello stesso tempo che è “imperativo prendere tutte le precauzioni possibili per prevenire la perdita di vite civili”. Una raccomandazione ipocrita, perché da sempre le azioni militari israeliane hanno tenuto conto della necessità di preservare le vite dei civili palestinesi. Solo in circostanze particolari, quando gli apparati militari dei terroristi sono stati sistemati in palazzi abitati anche da civili, come a Gaza, si sono avuti, per ovvie ragioni, anche perdite civili. Ma tali perdite erano state calcolate – meglio, organizzate – da Hamas per mettere sotto accusa Israele di fronte all’opinione pubblica internazionale.
È imperativo, invece, che Washington incalzi l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen perché controlli adeguatamente i territori sotto la sua amministrazione. Al contrario, l’Anp è totalmente passiva in questo campo e, anzi, spesso plaude agli attacchi terroristici palestinesi che uccidono civili israeliani. In sostanza, i civili palestinesi devono essere salvaguardati dalle incursioni militari di Israele contro i terroristi, mentre i civili israeliani possono essere oggetto, nel loro stesso territorio, degli attacchi omicidi dei terroristi palestinesi. Di più: la presenza nell’attuale governo israeliano di personaggi sgraditi all’Amministrazione Biden perché inclini ad accentuare le azioni di risposta di Israele agli assassini compiuti dai terroristi spinge le agenzie di sicurezza occidentali “a trovare scomodo condividere informazione di intelligence sensibili con Gerusalemme”, proprio a causa dell’estremismo di Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale, e di Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze. In sintesi: se dovesse verificarsi questo evento, il drammatico paradosso sarebbe l’accentuazione del terrorismo grazie al silenzio delle agenzie di sicurezza e il conseguente ritardo dell’anti-terrorismo israeliano nell’agire per prevenire l’azione terroristica.
L’atteggiamento degli Stati Uniti di fronte al nuovo governo israeliano non ha precedenti nella storia delle relazioni tra i due paesi. Quando, nel 1977, la destra andò al potere con Menachem Begin, leader del partito Herut, provocando un rivolgimento politico che destò una certa sorpresa nelle segreterie dei governi occidentali, in particolare di quella di Washington, dopo decenni di governo dei socialisti israeliani, tale atteggiamento non si tradusse mai in posizioni di rifiuto o addirittura di condanna, come sta accadendo ora verso il nuovo governo di Netanyahu. La critica così aspra dei paesi occidentali verso il disegno di legge sulla giustizia voluto dal governo Netanyahu è inaccettabile, perché viola la libertà politica di un paese democratico che, in virtù di una maggioranza parlamentare sancita dal voto popolare, ha il diritto di varare le leggi che ritiene più convenienti alla vita del paese. Questo fatto, che è ora la punta di diamante della critica di Washington verso il governo israeliano, viene ad aggiungersi alle precedenti posizioni di distacco dell’Amministrazione Biden nei confronti di Israele.
L’eredità di Obama sembra insuperabile. Essa sta condizionando ancora le scelte politiche dei governi americani verso i problemi del Medio Oriente. Il fallimento sostanziale degli accordi del 2015 tra l’Amministrazione Obama e il regime iraniano – accordi fortemente voluti dal presidente americano – e successivamente dei negoziati di Vienna sta a dimostrare che l’approccio negoziale americano verso l’Iran, come punto di massima criticità nella situazione del Medio Oriente, è stato aggirato abilmente da Teheran, che ha sfruttato la disponibilità americana al negoziato come segno di una debolezza che permetteva di sviluppare nascostamente il programma nucleare iraniano. Come più volte aveva avvertito Netanyahu, la politica americana, sostenuta dai governi occidentali europei, di risolvere, o almeno attutire, il pericolo iraniano con i negoziati avrebbe portato al fallimento e, di conseguenza, come è successo, alla piena libertà del regime di completare il progetto nucleare. Ora la situazione del Medio Oriente è nelle mani del regime degli ayatollah, sostenuto da Putin e dalla Turchia. Un triangolo che rappresenta un nuovo grande pericolo per Israele.
Antonio Donno