La Dichiarazione d’Indipendenza di Israele: la sua complessa elaborazione
Analisi di Antonio Donno
Nell’ultimo fascicolo di “Jewish Review of Books” (Vol. 14, No. 1, Spring 2023) è stato pubblicato un importante saggio di Neil Rogachevsky e Dov Zigler, Israel’s Declaration of Independence: A Biography. L’intento dei due autori è stato quello di descrivere l’evoluzione del testo della dichiarazione, che ebbe diverse fasi di elaborazione da parte di vari estensori, sino al momento nel quale passò definitivamente nella mani di David Ben-Gurion che la lesse il 14 maggio 1948, sancendo, così, la nascita dello Stato di Israele.
L’ispirazione iniziale nella stesura del documento fondativo fu la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, che era ben presente nella mente di una parte dei sionisti come testo di primaria importanza cui riferirsi nell’elaborazione dei principi fondamentali che avrebbero costituito la base vitale dello Stato degli Ebrei. La prima bozza della Dichiarazione d’Indipendenza di Israele è “un documento sbalorditivo, ispirato alle idee illuministiche della Rivoluzione Americana, la promessa biblica del patto tra Dio e il popolo ebraico, e le realizzazioni dell’Yishuv, l’insediamento ebraico pre-statale” (p. 8). Questa prima elaborazione, che vide la luce alla fine dell’aprile 1948, fu opera di un avvocato ebreo di 33 anni, Mordechai Beham, formatosi a Londra e poi trasferitosi a Tel-Aviv. Era una persona di profonda cultura occidentale, nella quale la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America aveva un posto preminente, perché i suoi principi fondamentali risiedevano nel consenso dei governati e nei diritti inalienabile degli individui, cioè “l’essenza della dottrina americana” (p. 9). Era questa dottrina, secondo Beham, che avrebbe dovuto sostanziare la Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele, insieme all’English Bill of Rights del 1689, una dottrina, in sostanza, fondata sui principi del liberalismo anglosassone. Quando il documento stilato da Beham fu tradotto in ebraico, la “divina provvidenza” divenne Tsur Yisrael, Rock of Israel. Questa prima stesura è giudicata dagli autori del saggio “una bozza ammirevole” perché coniugava i principi americani e inglesi e l’idea presente nel Deuteronomio del popolo ebraico che difende i principi del patto. Il documento di Beham, tuttavia, è rimasto sconosciuto per molto tempo.
La bozza che seguì quella di Beham si ispirò ai principi del laburismo sionista e fu stesa da Tzvi Berenson, un giurista del Partito Laburista e, dopo la fondazione di Israele, giudice della Corte Suprema dello Stato. I principi ispirativi del documento di Berenson poggiavano sul “lavoro e il sacrificio dei pionieri, una dottrina che sembrava combinare le idee di John Locke con il sionismo socialista di A.D. Gordon” (p. 10). La bozza di Berenson sostituiva la dottrina dei diritti individuali naturali con una serie di diritti politici e sociali che lo Stato avrebbe conferito al popolo. Questa concezione statalista prevalse e ispirò direttamente la Dichiarazione di Indipendenza di Israele, i cui principi erano stati elaborati, agli inizi di aprile, dal direttore del giornale del Labor Party, Zalman Shazar, e fatti propri dal Va’ad ha-Po’el ha-Tsioni, l’organo politico più importante del sionismo internazionale.
Tali principi finirono per innervare il testo finale della Dichiarazione d’Indipendenza. A differenza della bozza di Beham, quest’ultimo documento “[…] non afferma che i diritti inerenti degli individui siano parte dell’eredità politica ebraica” (
Ibid.). Una differenza sostanziale. Tale bozza fu inviata a Ben-Gurion, mentre gli eserciti arabi si preparavano a invadere il nuovo Stato e le Nazioni Unite si erano legate alla risoluzione 181 sulla spartizione della Palestina del 29 novembre 1947. La risoluzione fu respinta dagli arabi, ma Ben-Gurion sostenne fermamente che il diritto degli ebrei di dare vita a un proprio stato, affermato nella risoluzione, restava pienamente valido. Una posizione di grande acume e coraggio politici, che bloccò ogni pretesa araba di annullare la risoluzione 181 delle Nazioni Unite. Anzi, l’invasione degli eserciti arabi fornì a Ben-Gurion il destro per affermare che la Dichiarazione d’Indipendenza di Israele esprimeva – queste le sue testuali parole – “una profonda giustificazione ‘sionista ed ebraica’ per una rinnovata statualità” (p. 11). In realtà, quando Ben-Gurion ebbe in mano il testo definitivo della Dichiarazione, egli premise le famose parole: “In Eretz Israel è nato il popolo ebraico. Qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica. Qui ha raggiunto per la prima volta la propria indipendenza, creato valori culturali di significato nazionale e universale e dato al mondo l’eterno Libro dei Libri”. Con questa premessa Ben-Gurion accostò la Dichiarazione alla visione dei diritti che erano stati elaborati da Beham, ma la cui bozza egli non aveva letto. Così, concludono Rogachevsky e Zigler, “la Dichiarazione fu il prodotto di un compromesso politico pragmatico, che lasciava nell’ambiguità gli elementi intrinseci alla sua visione politica” (
Ibid.).
Antonio Donno