'Il sionismo americano tra le due guerre mondiali', di Antonio Donno, David Elber, Giuliana Iurlano 27/06/2023
Recensione di Giorgia Greco
Autore: Giorgia Greco
Il sionismo americano tra le due guerre mondiali
Antonio Donno – David Elber – Giuliana Iurlano

Le Lettere                        euro 18


“Ciò che sta dietro al movimento sionista è l’intensa coscienza nazionale detenuta da alcuni membri della razza ebraica. Essi si considerano una delle grandi razze storiche del mondo, la cui patria originaria è la Palestina, e questi ebrei hanno un desiderio appassionato di riconquistare ancora una volta questa antica patria nazionale…”
Lord Balfour

Il sionismo americano tra le due guerre mondiali - Antonio Donno - Giuliana  Iurlano - - Libro - Le Lettere - Biblioteca di Nuova Storia Contemporanea |  IBS

Studiare la storia dell’ebraismo significa imbattersi prima o poi nel termine “sionismo”, una parola che indica al contempo un’ideologia e un movimento politico, entrambi nati negli ultimi decenni dell’Ottocento e aventi come obiettivo principale la ricostituzione di una nazione ebraica, la formazione di un corpo politico il cui fine è la creazione di uno stato sovrano in Eretz Israel.
Se il tema del ritorno degli ebrei alla Terra promessa risale alle Scritture, è alla fine del XIX secondo che, con il giornalista viennese Theodor Herzl, esso diviene il fondamento di un movimento propriamente politico, che dà voce a una aspirazione religiosa quanto territoriale e culturale.

Fra i numerosi saggi che sono stati scritti sul tema del sionismo mancava un’opera che si focalizzasse sulle vicende del movimento sionista americano tra i due conflitti mondiali e non possiamo che essere grati alla casa editrice Le Lettere per aver pubblicato il testo “Il sionismo americano tra le due guerre mondiali” degli storici Antonio Donno, David Elber e Giuliana Iurlano.
Con la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e la sua approvazione da parte del presidente americano Wilson nell’agosto 1918, quella che all’inizio pareva un’idea visionaria di Herzl si era trasformata in un percorso, certamente costellato di ostacoli, ma concreto e determinato verso una meta sempre più vicina. Come spiega Iurlano nell’introduzione “il sionismo, dal cuore dell’Europa aveva raggiunto paesi lontani, aveva varcato l’oceano e si era radicato anche nel Nuovo Mondo: da ideale si era trasformato in un movimento dapprima solo europeo, poi mondiale, entrando prepotentemente nella vita di ogni ebreo”.
Questo volume, strutturato in tre parti, affronta con rigore storico e uno stile divulgativo, ciò che si è andato delineando al di là dell’Atlantico sulla questione del ritorno degli ebrei nella loro Terra.

Nella prima parte David Elber, storico e ricercatore sui temi dell’antisemitismo e della storia di Israele e del Medio Oriente oltre che autore di due volumi sulla Palestina mandataria e su Israele, recensiti in queste pagine, analizza il processo di riconoscimento internazionale del sionismo mettendo in luce le principali tappe giuridico/diplomatiche che portarono alla nascita dello Stato di Israele.
Passo fondamentale nella creazione del futuro Stato di Israele fu l’appoggio da parte del governo inglese alla realizzazione di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina che si concretizzò con la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 che – spiega Elber – oltre all’appoggio del primo ministro Lloyd George ebbe però anche accesi oppositori come Edwin Montagu. L’autore affronta il lungo percorso che ha portato alla formulazione della Dichiarazione evidenziando la posizione americana in merito e le personalità che ne avevano ostacolato la sua realizzazione. Nei capitoli successivi Elber si addentra in modo dettagliato nelle vicende che hanno caratterizzato la Conferenza di Pace di Parigi del 18 gennaio 1919 che avrebbe ridisegnato l’assetto dell’Europa e del Vicino Oriente, durante la quale emerge il diffuso clima di ostilità verso gli ebrei presente in molte delegazioni diplomatiche. Il lavoro di Elber si chiude con lo studio dei momenti più significativi della Conferenza di Sanremo del 1920 in cui si stabilì la creazione del mandato per la Palestina che nel 1948 diverrà lo Stato di Israele. Emerge in queste pagine, fra le altre, la figura carismatica di Chaim Weizman, capo della delegazione sionista, che presentò il memorandum sul progetto di ricostituire una patria ebraica in Palestina e che venne approvato proprio nella Conferenza di Sanremo.

Le vicende del movimento sionista negli Stati Uniti nell’arco temporale che intercorre fra le due guerre mondiali è al centro del lavoro dello storico Antonio Donno, già professore ordinario di Storia dell’America del Nord e poi di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università del Salento e alla Luiss. In queste pagine Donno analizza la complessa situazione del sionismo americano, mette in luce gli accesi dibattiti fra gli ebrei americani favorevoli e quelli contrari al sionismo soprattutto nei primi anni Venti. Nonostante la creazione della Zionist Organisation of America (ZOA), varata a Pittsburg nel giugno 1918 in occasione del Congresso sionista americano, l’idea sionista era ancora lontana dall’essere presente nel mondo politico americano. Si mette in luce anche il confronto fra le posizioni di Louis Brandeis che aveva preso le redini del movimento sionista degli Stati Uniti e quelle di Chaim Weizmann, presidente della World Zionist Organisation.

Molto interessante è il capitolo in cui l’autore analizza la situazione nell’Yishuv ebraico dove all’esultanza per il fatto che il Mandato sulla Palestina era stato affidato alla Gran Bretagna si era sostituito un sentimento di disillusione generato dall’atteggiamento conciliante degli inglesi nei confronti del mondo arabo che già nel 1920 e nel 1921 aveva attuato rivolte contro la presenza sionista.
Donno si sofferma anche sulla posizione di Washington in merito al progetto di una Jewish National Home in Palestina e dedica un capitolo alle drammatiche conseguenze per gli ebrei innescate dall’applicazione del Passfield White Paper inglese del 1930.

Va ricordato che l’ebraismo americano aveva una funzione importante per lo sviluppo della Palestina, perché il suo apporto economico era un fattore decisivo per la realizzazione della Jewish National Home. L’avvento alla Casa Bianca di Franklin D. Roosevelt riaccese dunque le speranze sioniste, ma invano, perché il Presidente americano non prese posizione quando Londra varò un secondo piano per la Palestina, ancor più restrittivo per i progetti sionisti.
Il White Paper emanato dal ministro delle Colonie Malcolm MacDonald nel maggio 1939 rappresentò una svolta profondamente negativa per il movimento sionista, giudicato pubblicamente da Weizmann e Ben-Gurion un tradimento della Dichiarazione Balfour.
Fu Ben-Gurion che viveva in Palestina e che nel 1935 aveva assunto la presidenza dell’Agenzia ebraica ad avere un ruolo fondamentale nel portare il sionismo a una reazione decisa nei confronti degli inglesi. Inoltre, il ruolo del sionismo laburista, creato da Ben Gurion, - spiega Donno – “svolse il grande compito di stimolare i sentimenti nazionali dell’ebraismo americano e di quello europeo: una svolta di cruciale importanza nella storia del movimento sionista e del suo progetto di far nascere una patria ebraica in Palestina…” Ne deriva che dopo anni di contrasti fra sionisti e non-sionisti americani, questo sentimento di fratellanza sembrò portare la comunità ebraica americana a condividere un unico obiettivo.

Negli Stati Uniti e in Europa si delineò una sorta di coesione politica a favore dell’operato di Ben-Gurion fondato sulla strategia di un “sionismo di lotta” in Palestina.
Nell’ultima parte del saggio Giuliana Iurlano, già professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali nell’Università del Salento e attualmente presidente del Cesram, si concentra su due figure storiche che con il loro operato hanno lasciato una traccia nel movimento sionista e ripercorrendo le vicende di Brandeis e di Weizmann analizza la contrapposizione fra il sionismo americano e quello europeo.
Il movimento sionista americano aveva faticato a raggiungere una voce univoca da portare all’interno della World Zionist Organisation, almeno finchè la leadership non venne affidata nel 1914 a Louis Dembitz Brandeis, un ebreo di origine tedesca, convertitosi al sionismo in età avanzata e che arrivò a ricoprire la carica di giudice della Corte Suprema per volontà di Wilson fino al 1939.
Sono due le principali visioni del sionismo – riflette Iurlano – che si contrapponevano sulle modalità di sviluppo della Palestina: da una parte la ZOA, anch’essa divisa al suo interno ma tenuta insieme dal collante costituito dall’autorevolezza di Brandeis e dall’altra la WZO che raccoglieva i sionisti di tutti il mondo e, in particolare, quelli dell’Europa orientale guidati da Weizmann. Benchè contrapposti questi due mondi miravano a conseguire lo stesso obiettivo.

Se per Brandeis, progressista convinto, la ricostruzione della Palestina doveva avvenire in base a criteri di efficienza e di priorità nelle scelte di azione, per Weizmann la rinascita di Erez Israel doveva realizzarsi prima di tutto attraverso il recupero dell’identità e della cultura ebraica. Analogamente a tanti ebrei dell’Europa dell’est vittime di pogrom e persecuzioni, per Weizmann la cui identità ebraica era un fatto politico, culturale e religioso insieme, il ritorno in Palestina rappresentava la fine del terrore e l’arrivo nell’antica patria dove avrebbero trovato protezione. Mentre Brandeis era giunto tardi alla consapevolezza della sua identità ebraica e, soprattutto, al sionismo anche in considerazione del fatto che negli Stati Uniti l’assimilazione era una realtà, non un’illusione come in altri paesi europei e il sionismo per gli ebrei americani non rappresentava l’unica soluzione per evitare le persecuzioni.
In questa analisi accurata del pensiero dei due esponenti sionisti che illustra la complessità del movimento sionista internazionale con i suoi contrasti e le sue divisioni emerge anche la capacità delle diverse anime del sionismo di creare un fronte comune al momento di dar vita a Israele.

“La nascita dello Stato di Israele, il 14 maggio 1948, dimostrerà che – nonostante tutto – il sionismo era riuscito a portare a casa il suo più grande risultato”.
Questo pregevole volume ha, fra i tanti, il merito di aprire uno squarcio su un periodo storico poco indagato dalla moderna storiografia e offre nuove chiavi di lettura per interpretare il passato e immaginare il futuro di Israele senza pregiudizi o visioni preconcette.


Giorgia Greco