L’ondivaga relazione tra gli USA e Israele / parte 2
Analisi di David Elber
Joe Biden
Il partito democratico riconquistò la Casa Bianca con i due mandati del presidente Bill Clinton a partire dalle elezioni del 1992. Egli fu affiancato, come segretari di Stato, prima da Warren Christopher (già segretario di Stato di Carter) poi da Madeleine Albright (prima donna a ricoprire tale incarico). L’amministrazione Clinton fu molto coinvolta nelle vicende mediorientali e diversi importantissimi avvenimenti relativi a Israele si verificarono durante gli otto anni della sua presidenza. Il primo, fu la stipula degli accordi di Oslo (iniziati segretamente ad Oslo, intavolati a Madrid e conclusi alla Casa Bianca) tra l’OLP di Arafat e il governo israeliano presieduto da Rabin. Il secondo fu la firma del trattato di pace con la Giordania. Il terzo fu l’approvazione da parte del Congresso americano del Jerusalem Embassy Act con il quale il Congresso, con schiacciante maggioranza riconosceva ufficialmente Gerusalemme come capitale di Israele nel novembre del 1995. Questa legge è stata, però, disattesa da tutti i presidenti americani, a partite da Clinton, fino al 2018 quando il presidente Donald Trump finalmente decise di non applicare il “waiver” presidenziale che di fatto neutralizzava tale legge per presunte “ragioni di sicurezza nazionale” (in realtà per mere ragioni politiche). Il quarto e ultimo importante avvenimento fu il fallimento delle trattative di pace, mediate da Clinton stesso e Madeleine Albright, che videro il categorico rifiuto da parte di Arafat ad ogni proposta offerta dal primo ministro Ehud Barak e che condusse alla successiva ondata di terrorismo conosciuta come Seconda intifada.
Gli otto anni di presidenza democratica furono seguiti da otto anni di presidenza repubblicana con i due mandati di George W. Bush (figlio). Al Dipartimento di Stato furono nominati Colin Powell, durante il primo mandato e Condoleezza Rice per il secondo, essi furono i primi segretari di Stato afro-americani. Durante la presidenza Bush i rapporti con Israele furono sostanzialmente buoni anche se, costanti e a senso unico, furono le pressioni politiche americane nei confronti di Israele costretto a offrire maggiori concessioni alla controparte palestinese, la quale è sempre rimasta intransigente nelle sue richieste. Nonostante Israele si adoperò per il ritiro completo da Gaza nel 2005, seguita da una nuova proposta di spartizione territoriale offerta dal premier Ehud Olmert nel 2008, ci fu l’ennesimo rifiuto palestinese per un compromesso. Ancora una volta, però, la responsabilità del mancato accordo ricadde, unicamente, su Israele e la pressione politica americana – oltre che quella internazionale – si concentrò esclusivamente su di esso. E’ da segnalare che, durante la presidenza Bush, venne distrutta nel 2007 la centrale nucleare che la Siria stava costruendo a Deir el-Zor sulle rive dell’Eufrate. Questo episodio merita una breve digressione: quando il Mossad riuscì a recuperare delle prove inconfutabili che la centrale era stata progettata segretamente con la collaborazione della Corea del Nord con l’intenzione di produrre uranio per le armi nucleari, Israele chiese l’intervento americano che lo rifiutò, in quanto, a parere del Dipartimento di Stato, esso era contrario agli interessi americani. Questa posizione obbligò Israele a decidere in autonomia, e a portare avanti da solo l’operazione di distruzione del reattore nucleare (operazione Orchard). Alcuni anni dopo, con lo scoppio della guerra civile in Siria, l’intera area cadde nelle mani dell’Isis. Si possono solo congetturare le conseguenze per il mondo se l’Isis avesse messo le mani su questa centrale nucleare.
Nella partita dell’alternanza democratica degli Stati Uniti, dopo due mandati repubblicani si susseguirono due mandati democratici con la presidenza di Barack Obama (2009-2017). Obama designò come segretari di Stato Hilary Clinton prima e John Kerry successivamente. Con l’amministrazione Obama i rapporti tra Israele e gli USA toccarono un nuovo minimo storico. Soprattutto grazie a John Kerry le relazioni politiche furono tesissime. Ad ogni rifiuto arabo di sedersi al tavolo dei negoziati corrispondeva una ennesima richiesta americana nei confronti di Israele per nuove concessioni: liberazioni di terroristi, congelamento delle costruzioni in Giudea e Samaria, la riproposizione come base di partenza per la ripresa dei colloqui i mai esistiti “confini del ’67”. L’apogeo dell’amministrazione Obama nel suo rapporto con Israele si può riassumere in due decisioni: l’approvazione del trattato sul nucleare iraniano del 2015 e la decisione di far passare al Consiglio di Sicurezza la Risoluzione 2334 del dicembre 2016: la risoluzione più anti-israeliana mai approvata dall’ONU.
In senso diametralmente opposto si colloca l’operato dell’amministrazione del repubblicano Donald Trump (2017-2021). Durante i quattro anni del suo mandato, Trump si avvalse di due Segretari di Stato: per primo Rex Tillerson e poi Mike Pompeo. Durante il biennio con Tillerson a capo della politica estera americana, l’ambivalente posizione USA che vedeva il presidente favorevole a Israele e il Segretario di Stato sfavorevole, fu ripristinata. Come esempio concreto si può citare l’opposizione del Dipartimento di Stato allo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme per “ragioni di interesse nazionale” nonostante la volontà di Trump di mantenere la sua promessa elettorale. Questa impasse fu superata dal presidente Trump che nel dicembre 2017, quando decise di non firmare l’ennesimo waiver presidenziale e di riconoscere così Gerusalemme come capitale di Israele come prevedeva il Jerusalem Embassy Act del 1995. Poco dopo Tillerson fu costretto alle dimissioni e fu sostituito da Mike Pompeo. Con il nuovo segretario di Stato si è verificata la più favorevole convergenza pro-Israele tra presidenza e Dipartimento di Stato nella storia degli Stati Uniti. Questa corrispondenza ha portato, in un biennio, a fondamentali passi di riconoscimento degli interessi strategici tra i due paesi. I più importanti sono stati: il ritiro degli USA dal JCPOA, cioè l’accordo sul nucleare tra Usa e Iran voluto da Obama; la cessazione delle pressioni politiche unilaterali verso lo Stato ebraico per lo stallo nei negoziati con i palestinesi; il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan; il riconoscimento della piena legittimità della presenza ebraica in Giudea e Samaria; la fine dei finanziamenti americani all’AP e all’UNRWA in base alla legge americana Taylor Force act che impone la sospensione degli aiuti economici americani ad organizzazioni colluse con il terrorismo. Infine, la stipula degli accordi di Abramo tra Israele, UAE, Bahrein e Marocco.
Ben diversa si è dimostrata l’impostazione dall’amministrazione democratica di Joe Biden in questi due anni e mezzo di presidenza. Il presidente Biden, coadiuvato dal segretario di Stato Antony Blinken, ha impresso una politica atta a scardinare la maggior parte dei risultati ottenuti dalla presidenza Trump: ritorno all’accordo nucleare con l’Iran con un accordo peggiore di quello firmato da Obama nel 2015, tentativo di aprire un consolato per i palestinesi a Gerusalemme (atto illegale sia per la legge americana che per il diritto internazionale) contro la volontà di Israele, rifinanziamento dell’AP e dell’UNRWA nonostante le collusioni con il terrorismo (atto illegale per la legge americana), aumento delle pressioni politiche a senso unico verso Israele per riprendere i colloqui di pace.
Questo background politico ci riporta all’attualità degli ultimi mesi con l’inaudita ingerenza del Dipartimento di Stato sulla politica interna di Israele, oltre chel presidente stesso. Ad esempio in merito alla vicenda dell’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh. In pratica il Dipartimento di Stato ha dichiarato che Israele “deve rivedere le regole di ingaggio” nelle sue operazioni anti terrorismo. Nessun accenno è stato fatto in merito alla poca chiarezza sulle circostanze della morte della giornalista – anche una commissione americana ha dichiarato che non si può attribuire con certezza l’origine del colpo fatale – e che Israele, come ha sempre operato peraltro, non ha mai ucciso intenzionalmente nessun giornalista, oppure al fatto che il terrorismo è originato nei territori controllati dall’AP e le sue “forze dell’ordine” non solo non fanno nulla per combatterlo ma lo fiancheggiano. In pratica l’esercito di Israele è diventato il solo responsabile dell’accaduto perché avrebbe delle regole di ingaggio sbagliate cioè troppo permissive. Esprimendo questo giudizio il portavoce del Dipartimento di Stato ha di fatto messo sotto accusa la modalità di Israele nel difendersi dal terrorismo cosa che non è mai stata fatta con nessun altro paese considerato alleato o “amico”. Altra grave e ripetuta ingerenza del duo Biden-Blinken negli affari interni di Israele è la presa di posizione contro l’esecutivo di Netanyhau in merito alla proposta di riforma della giustizia. Anche in questo caso non ci sono precedenti simili con altri Stati considerati alleati. Questa ingerenza ha portato ad una interruzione senza precedenti (ad esclusione dell’intelligence) nei rapporti politici e nelle visite ufficiali tra le alte cariche dei due Stati.
Mancano ancora poco meno di due anni di presidenza Biden e ci sono tutti gli elementi per prevedere che la politica di questa amministrazione USA non mancherà di causare ulteriori attriti con Israele.