Il carro armato
Assaf Inbari
Traduzione dall’ebraico di Alessandra Shomroni
Giuntina euro 20,00
Ci sono autori che compaiono un po’ in sordina sugli scaffali delle librerie e si impongono con il passaparola grazie all’alta qualità della scrittura e all’innegabile valore storico dei loro romanzi.
E’ il caso di Assaf Inbari un autore israeliano già apprezzato dai lettori italiani per il suo romanzo d’esordio “Verso casa” (Giuntina,2020), un bestseller in Israele premiato con il “Libro di platino”, che racconta le alterne vicende del kibbuz Beth Afikim dove è nato, dalla nascita alla decadenza sotto il peso del liberalismo economico, attraverso le storie di giovani visionari, pionieri e sognatori dotati di un’indomita forza di volontà. Anche nel secondo romanzo “Il carro armato”, in libreria in questi giorni per Giuntina, Inbari coniuga in modo magistrale creatività e Storia per raccontare un episodio accaduto durante la Guerra d’Indipendenza del 1948 quando lo stato degli ebrei, appena costituito, è attaccato dagli eserciti dei paesi arabi e, in particolare, la Valle del Giordano viene invasa dall’esercito siriano.
Assaf Inbari
E’ molto suggestiva l’immagine di copertina del Renault 35, il tank siriano che nel corso del conflitto del 1948 venne fermato da un uomo poco prima dell’entrata nel kibbutz Degania, la “madre di tutti i kibbutz”, il luogo che ha dato i natali al generale Moshe Dayan e ha visto passare eminenti figure della cultura e della politica di Israele.
Nella narrazione ufficiale, che per anni è stata tramandata ai visitatori e agli studenti, è Shalom Hochbaum, membro del kibbutz, ad aver scagliato la bomba molotov contro il blindato fermando l’avanzata dei siriani. Quel tank è conservato ancora oggi all’ingresso di Degania, come simbolo di un evento inciso nella memoria di Israele. L’autore, tuttavia, ha scoperto che ci sono altri quattro uomini che sostengono di aver fermato il carro armato siriano a Degania, e ognuno sembra avere una versione convincente. Esiste dunque una verità oggettiva, oppure il racconto, con il trascorrere degli anni, si è trasformato in “leggenda”?
A questo punto Assaf Inbari propone più versioni dell’accaduto ricostruendo la vita di questi cinque eroi e svelandone le aspirazioni, i successi, i fallimenti per fotografare un paese destinato a evolversi negli anni e per mostrare i diversi modi di essere israeliano.
Se il conflitto del 1948 è stato ampiamento trattato nella produzione letteraria israeliana, basti pensare agli splendidi romanzi di Yoram Kaniuk o S. Yitzar, la guerra del Kippur, un’esperienza fortemente traumatica per Israele, è stata poco indagata.
Inbari si addentra in questo conflitto con lucidità trasmettendo al lettore la sofferenza di quella generazione già all’inizio del romanzo quando racconta nella prima “versione” della vicenda del carro armato siriano la storia di David Zrachia, tenente colonnello prossimo al pensionamento, che dopo aver combattuto nella Guerra di Indipendenza ora si mette alla ricerca del figlio Shabby disperso sul Canale di Suez. David, a sua volta arruolatosi come volontario, è addetto alla manutenzione dei carri armati che “sono in uno stato di abbandono da non poter nemmeno essere avviati…qualcuno si ribaltava per strada, altri sprofondavano nella sabbia, altri ancora finivano in panne, creando ingorghi…praticamente sconfitti davanti alle armate egiziane che si erano limitate ad attraversare il Canale di Suez”.
In queste pagine l’autore ci trasmette il senso di abbandono e la disperazione di una generazione che teme di essere annientata ma anche la volontà di resistere a qualsiasi costo per non essere sopraffatta.
C’è un’altra interpretazione dell’”uomo che aveva fermato il carro armato” al centro di tutto il romanzo, quella di Shalom Hochbaum, sopravvissuto al campo di sterminio di Bergen-Belsen. “Per gli uomini Shalom era l’eroe della Guerra d’Indipendenza che aveva fermato il carro armato siriano all’ingresso di Degania. Per le donne non era che uno scapolo di quarant’anni”. Nella sinagoga di Degania Bet nel giorno di Kippur Shalom incontra Ilana, scampata alle deportazioni naziste in Lituania, e i due giovani decidono di sposarsi. “Quella fra Ilana e Shalom fu l’unione naturale di due sopravvissuti alla Shoah che però non avevano dove incontrarsi” perchè Shalom condivideva una baracca con un anziano sopravvissuto alla Shoah, come fossero padre e figlio, e per Ilana non ci sarebbe stato posto. Lasciamo al lettore il piacere di scoprire l’evolversi della storia che già dalle prime pagine si annuncia avvincente e punteggiata di ironia.
Un’altra versione misteriosa è quella di Yitzhak Eshet di cinquant’anni al suo ultimo periodo di riservista come addetto al magazzino dove venivano portati gli zaini delle vittime della Guerra del Kippur con i loro effetti personali. Ferito durante la Guerra di Indipendenza Eshet soffre di essere stato destinato a un incarico avvilente che dimostra che “il suo storico contributo ormai non faceva più colpo su nessuno”.
Le versioni dei fatti si moltiplicano dando vita a un romanzo a più voci: c’è anche la storia di Shlomo Anshel, un conducente di autobus che aveva condotto la propria vita “seguendo un percorso giornaliero con una puntigliosità da crucco” e che ora esprime la sua rabbia nei confronti di chi vorrebbe riscrivere la Storia; e quella del colonnello Borka Bar-Lev, arrivato da piccolo in Israele, che il destino conduce come attaché militare nella lontana Uganda. Fra le mille peripezie narrate in queste pagine c’è anche la drammatica vicenda di Entebbe in cui Borka, suo malgrado, si trova coinvolto e che l’autore ripercorre con arguzia e sapienza narrativa.
Si termina la lettura con un interrogativo ineludibile che serpeggia fra le pagine del libro. Se i ricordi delle persone e a volte le stesse fonti storiche possono divergere e fornire ricostruzioni differenti di uno stesso evento è possibile ricostruire la verità fattuale di quanto accaduto in determinati contesti?
In questo libro, di cui non sveliamo il finale per lasciare intatto il piacere della lettura, i personaggi si susseguono, ciascuno con il proprio modo di essere israeliano, le storie si intrecciano con sviluppi imprevedibili e la Storia entra nella trama del romanzo svelando la tenacia di un Paese che, fin dalle sue origini, non ha mai smesso di lottare per la sopravvivenza.
Per il lettore è come smarrirsi in un labirinto, un’esperienza che a volte disorienta facendo perdere il filo della narrazione ma sempre gratificante perché Assaf Inbari, una delle voci più originali della nuova letteratura israeliana, è un ideatore molto abile di storie costruite con perizia e intuizioni folgoranti.
Giorgia Greco