Morto un Führer, se ne fanno due 21/05/2023
Recensione di Diego Gabutti
Autore: Diego Gabutti
Riprendiamo da ITALIA OGGI del 20/05/2023, con il titolo "Morto un Führer, se ne fanno due" la recensione di Diego Gabutti.

Il governo Goebbels. Trenta ore di morte e menzogne : Mari, Giovanni:  Amazon.it: Libri
Giovanni Mari, Il governo Goebbels. Trenta ore di morte e menzogne, Lindau 2023, pp. 226, 19,00 euro, eBook 12,99 euro.

Berlino, 30 aprile 1945. Hitler si suicida insieme a Eva Braun. È contemporaneamente presidente e cancelliere del Reich: un cumulo di cariche che si è assegnato da sé, dopo avere stravinto uno di quei referendum da società totalitaria in cui chi vota male finisce peggio. Prima di crepare com’è vissuto, da bandito, torna a separare le due cariche e nomina (non perché possa ma perché così ha deciso) non uno ma due successori: Joseph Goebbels, da ministro della propaganda, diventa cancelliere del Reich e il grandammiraglio Karl Dönitz – l’uomo degli U-Boot, o das Rugel, «il branco di lupi»: i sommergibili che attaccano i convogli alleati – è nominato presidente. Morto un Führer, se ne fanno due. Nazisti furiosi, l’uno e l’altro prendono sul serio le cariche che ha trasmesso loro il più grande macellaio d’ogni tempo e luogo. Sono orgogliosi d’aver ereditato da Hitler, a guerra ormai finita e persa, il governo del Tausendjähriges Reich (o Reich millenario). Sembrano non fare al caso al fatto che il millennio è finito prima ancora di cominciare. Intorno, nei giorni in cui loro salgono sul trono, non ci sono ormai che pochi frammenti di Germania. Anche il partito nazionalsocialista è sparito o sta sparendo. Hermann Göring, fino a qualche giorno prima numero due del regime dopo Hitler, è stato «destituito da ogni rango» insieme al mammasanta delle SS Heinrich Himmler. Sono accusati di tradimento per aver tentato d’arrendersi agli americani. Così li liquida Hitler nelle sue «ultime volontà»: «Göring e Himmler hanno coperto di un’onta irreparabile l’intera nazione, per non parlare della mia persona, negoziando in segreto con il nemico contro la mia volontà e a mia insaputa». Hitler e signora morti, Göring e Himmler deposti, niente più Großdeutsches Reich o Grande Reich Tedesco. Quel che rimane dell’esercito hitleriano è allo sbando: le armate e le divisioni sparse in Europa s’abbandonano agli ultimi eccidi, poi s’arrendono agli alleati. Dai campi di sterminio escono i sopravvissuti, scheletri viventi, occhi come fanali, personaggi da incubo, che i loro liberatori guardano senza credere ai propri occhi. Tra gli alleati, per il momento, si contano ancora i russi, che non resteranno nell’alleanza a lungo, ma che adesso, mentre Goebbels non vuole sentir parlare di resa incondizionata e Dönitz (che a sua volta vorrebbe «continuare a combattere») medita d’arrestare sia lui che Martin Bormann, fresco di nomina alla segreteria del partito, sono ormai dentro Berlino e la stanno radendo al suolo, un edificio dopo l’altro. Ragazzini (o meglio bambini) disarmati e sparuti gruppi di nazisti fanatici affrontano praticamente a mani nude l’Armata rossa e muoiono come mosche per volontà di Bormann e Goebbels, gli ultimi due dèi hitleriani a cadere, il primo mentre tenta la fuga da Berlino, il secondo suicida con la moglie Magda (dopo che insieme hanno assassinato i loro sei figli, la più grande di dodici anni, il più piccolo di quattro anni). È la storia vera e terribile che racconta Giovanni Mari, storico e giornalista, nel suo ultimo libro, Il governo Goebbels. Trenta ore di morte e menzogne, edito da Lindau. Già autore, sempre per Lindau, di La propaganda nell’abisso, dov’è ricostruita la storia del quotidiano Panzerbär (o «l’orso corazzato») uscito per soli otto giorni, «dal 22 al 29 aprile 1945, nella voragine creata dalle granate e in mezzo al frastuono dei tanks sovietici», Mari racconta la Storia universale che si riflette nel particolare: la goccia d’acqua del bunker berlinese. Concentrata in poche ore, c’è qui, pienamente ricapitolata, l’intera parabola del totalitarismo nel XX secolo. Un secolo di cannibali, popolato di sterminatori d’ebrei, di soldati russi che «avanzano pretese» sulle donne tedesche, di cancellieri e presidenti immaginari, di capipartito in fuga, d’assassini dei propri stessi figli, di bugiardi e cialtroni che elevano la menzogna a un tale grado di persuasività da ingannare anche se stessi. Siamo salvi, scampati a quel che i mostri ci auguravano, ma come il mondo sia sopravvissuto a tutto questo, a Hitler e a Bormann, ad Auschwitz, alle sinistre fandonie di Goebbels, è qualcosa che non si possono semplicemente spiegare. Così descrive la Berlino del Panzerbär, uscito per una sola settimana poco prima del suicidio di Hitler, e quella del governo Goebbels, durato poco più d’un giorno, un giornalista dell’epoca citato da Mari: «Siamo a cinque minuti oltre la fine. Il respiro della città soffoca sotto il ribollire del fumo denso che si voltola per le strade; le sue vene lacerate la stanno facendo dissanguare. La nube d’un alito pestilenziale grava sulla giungla di rovine, montagne di corpi umani senza vita e di carcasse d’animali, relitti di carri armati e di veicoli incendiati o bersagliati dalle granate, ammassi di macerie, voragini di crateri, muri d’edifici pencolanti, ponti fatti saltare in aria, incendi divampanti sbarrano le strade. Tuttavia in alcune zone continua a infuriare la battaglia con compagnie composte da feriti e sbandati, da vecchi e adolescenti, che vengono gettati in campo con armamenti insufficienti o con la direttiva di rifornirsi delle armi dei caduti». È l’inferno, che Hitler ha scatenato nel mondo, e che il mondo ha restituito al mittente, con un perfetto rovescio di tennis apocalittico.