Si dimette Mitzna e chesaramai!
Tranquillo De Giovannangeli il tessuto israeliano è di trama dura e resistente
Testata:
Data: 05/05/2003
Pagina: 10
Autore: Umberto de Giovannangeli
Titolo: Il leader laburista israeliano lascia: troppe faide»




Il generale abbandona il campo. L’uomo del dialogo getta la spugna di fronte ad una "faida interna" al gruppo dirigente del suo partito che in pochi mesi lo ha svuotato di ogni energia. Amram Mitzna si è dimesso dalla guida del Partito laburista israeliano.
E con questo incipit struggente ( dove il giornalista non manca di definire Mitzna "l’uomo del dialogo" in ovvia opposizione implicita a Sharon, che invece sarebbe a suo avviso l’uomo della "guerra") , De Giovannangeli si cimenta a raccontare le dimissioni di Amram Mitzna dalla guida del Partito laburista israeliano. Il nostro giornalista piange e si percuote il petto davanti a quella che lui definisce
Una delle pagine più tristi e avvilenti nella storia della sinistra israeliana.
Nell’articolo di L’Unità del giorno successivo ( a pagina 12 di L’Unità del 2003-05-06, articolo dal titolo «L’ amaro dopo Mitzna, viaggio fra i laburisti israeliani») Giovannangeli arriva anche a dire
Il fallimento di una leadership rischia di affossare definitivamente il partito Laburista israeliano, con ricadute drammatiche sullo stesso tessuto democratico di Israele.
Niente di tutto questo. La democrazia in Israele è ben salda e al sicuro e non sarà certo il più che normale avvicendamento nella leadership di un partito a metterla in pericolo. Durante le ultime elezioni, il partito laburista israeliano ha subito una dura sconfitta (nell’ambito di legittime elezioni politiche, cosa non così usuale se parliamo di Medio Oriente): in uno stato a regime democratico è assai naturale che una sconfitta elettorale porti a degli scontri dialettici, a delle discussione, magari ad un cambio della guardia nella dirigenza di un partito. Così capita nelle democrazie, il problema sorge invece quando un feroce dittatore riesce a mantenere saldo il potere nelle proprie mani per decenni opprimendo il proprio popolo e sterminando gli oppositori ( dicasi Arafat) : là c’è una pagina di storia "triste" ed "avvilente", là ci sono "ricadute drammatiche" sullo stesso tessuto democratico.

Tornando all’articolo del 5 maggio , Giovannangeli dopo aver pianto per le dimissioni di Mitza non si esime di passare a criticare Sharon

Per un leader che abbandona con dignità e mestizia la scena politica, ce n’è un altro che, invece, rilancia la sua azione
Non sappiamo quanta "dignità" e "mestizia" possieda Sharon, sappiamo tuttavia che è stato democraticamente eletto e quindi ricopre una legittima carica istituzionale che prevede obblighi e doveri ( tra cui quello di "rilanciare" tutte le "azioni" che ritiene opportune per il bene dello Stato che rappresenta).
Restano da mettere appunto gli ultimi dettagli. Ma la decisione politica è presa : Ariel Sharon incontrerà il neopremier palestinese Abu Mazen. L’incontro si terrà soprattutto perchè a spingere in questa direzione è la Casa Bianca.
L’immagine di due fratellini litigiosi costretti dall’amorevole mamma a mettersi faccia a faccia per appianare le proprie divergenze è di sicuro effetto, anche se falsificante.

E commentando la posizione del governo israeliano sulla famigerata "Road Map" ( spesso presentata dal nostro giornalista come una formula magica che risolverà ogni problema in un baleno : ed è inutile dire che non è così, purtroppo)

Israele chiede che la questione del "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi sia discussa già nei prossimi mesi e non rinviata alla fase finale come prevede la "road map".
Come dire : ecco che Israele già comincia con le sue meschine richieste, rischiando di mandare a monte tutto il processo di Pace!
Nel 2000 Arafat alla fine di quello che sembrava un fortunatissimo negoziato di pace pretese l’impegno di Israele ad assorbire nel proprio territorio quattro milioni e mezzo di "profughi" palestinesi ( che secondo i ridicoli calcoli dell’OLP sarebbero stati i discendenti di quei 41500 "sfollati" del 1948 ) . Con una popolazione ebraica di cinque milioni , la pretesa era palesemente provocatoria : era semplicemente un altro modo di Arafat per dire che Israele doveva scomparire, disintegrando così ogni speranza di pace.
Per cui è ovvio che la questione dei profughi palestinesi vada discussa il prima possibile. Da quella si capirà se i Palestinesi vogliono finalmente la pace o meno.

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