I prossimi scenari
Israele, la road map, i media e la realtà, impegno per la pace
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Data: 10/04/2003
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: Alcune riflessioni
Evviva, Israele non è più al centro dell' attenzione! E' un pensiero che mi ha attraversato la mente molte volte, da quando è cominciata la guerra in Iraq. E non ho mai capito fino in fondo come valutare il fatto che i riflettori non fossero più puntati solo su Israele.
La guerra in Iraq non ha cancellato, purtroppo, i molti problemi che Israele deve risolvere nei rapporti col suo ingombrante vicino palestinese: li ha solo fatti passare in secondo piano nei media.
I temuti attacchi iracheni con armi chimiche o batteriologiche, che fino ad oggi non si sono verificati, e gli ancor più temuti attacchi terroristici, che non hanno mietuto vittime innocenti né in Israele né altrove nel mondo, ci permettono di tirare un collettivo sospiro di sollievo.
Eppure, considerando tutti gli aspetti di questa complessa realtà, non riesco ad essere ottimista quanto vorrei.
In Israele
Chi ha seguito i media israeliani in queste tre settimane ha potuto constatare che Israele ha efficacemente prevenuto ed impedito numerosi tentativi palestinesi di portare morte e terrore fra la popolazione civile. Le sporadiche incursioni dell' esercito israeliano all'interno dei territori palestinesi sono state circoscritte a precisi obiettivi; alcuni dirigenti di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche sono stati uccisi ( e purtroppo anche alcuni civili insieme a loro), ma la morsa attorno ai centri abitati si è allentata. Proprio in questi giorni molte imprese artigianali ed industriali di Nablus hanno potuto riprendere la loro attività, che consentirà di dare lavoro a circa 500 persone e di riavviare il circuito dell'indotto e dei traffici commerciali.
Il livello di attenzione rimane sempre molto alto in Israele; la popolazione non ha mai potuto liberarsi da uno stato d' animo fatto di angoscia, paura, voglia di tornare alla normalità. Il fatto che Saddam sia stato bloccato dall' avanzata degli eserciti alleati prima di poter lanciare un solo missile contro Israele non significa necessariamente che egli non disponesse di tali missili o non avesse l'intenzione di usarli come nel 1991; e la constatazione che fino a questo momento non si sia verificato alcun attentato terroristico non deve indurre ad allentare l'attenzione ed ancor meno ad illudersi di uno scampato pericolo.
La Road Map zoppa
Una indispensabile cautela venata da qualche motivo di ottimismo ha in questo momento congelato la situazione sul campo, mentre si attende con ansia di capire se Arafat accorderà o meno al suo nuovo primo ministro Abu Mazen i poteri decisionali che egli ritiene indispensabili per poter accettare l' incarico. Da questa decisione di Arafat dipende l'avvio di un processo di pace che si potrà configurare secondo gli schemi previsti nella cosiddetta road map del Quartetto o divergerne in maniera sostanziale. Potremmo forse immaginare questo stallo come una scacchiera in cui vari giocatori attendono ognuno la prima mossa degli altri per muovere il loro pezzo.
E questa road map, di cui tanto parlano Bush e Blair quando vogliono blandire il mondo arabo allo scopo di evitare che protesti con troppa vivacità per quanto avviene in Iraq, si potrà concretizzare in un progetto sottoscritto dalle parti?
Israele ha già detto pubblicamente che non ne accetta tutti i contenuti e la formulazione, ma solamente il principio. In altre parole: "sì" alla creazione di uno stato palestinese al termine di un percorso politico ed istituzionale concordato, ma "no" alla genericità ed equivocità delle tappe che dovranno portare a quel risultato. Israele afferma di aver già sperimentato quanto sia pericoloso aprire spiragli all' estremismo arabo - palestinese, e non dimentica che ancora oggi molte fazioni del mondo arabo e palestinese indicano esplicitamente come loro scopo la distruzione di Israele, percepito come una illegittima entità estranea che interrompe la continuità territoriale dell' Islam.
Inoltre, il documento proposto non prevede obblighi a carico dell' Autorità Palestinese per chiudere definitivamente il capitolo del terrorismo e far cessare l' educazione dei giovani all' odio contro Israele; il richiamo ai confini del 1967 ed alle risoluzioni dell' Onu, inoltre, non disinnesca la bomba della pretesa palestinese ad un ritorno in Israele di tutti i profughi del 1948 e dei loro discendenti. Lo status di Gerusalemme, capitale divisa fra due stati sovrani, non è infine delineato e si presta ad ogni distorsione .
In assenza di indicazioni certe ed accettabili su questi punti nevralgici Israele rifiuterebbe di sottoscrivere il documento.
Tutte queste considerazioni potranno forse essere valutate con più calma e serenità ora, dopo che la scomparsa dalla scena di un pericolo pubblico come Saddam avrà attutito motivi di scontro politico e di reciproca ostilità, ed avrà fatto capire chiaramente a tutti che il terrorismo non potrà più essere un' arma usata per far valere aspettative politiche, né potrà ottenere una copertura organizzativa ed economica da chiunque voglia accreditarsi come partner per la pace.
I media e la realtà: a chi credere?
Infine, un ultimo pensiero va rivolto, inevitabilmente, all' atteggiamento dei media nei confronti del conflitto in Iraq e del doppio standard che essi usano.
Un esempio, americano, basti per tutta la casistica. Quando il New York Times ed altri importanti quotidiani descrivevano gli attentati suicidi che avevano per teatro le strade e gli autobus d' Israele, non usavano il termine "terrorista", bensì quello di "militante". Ebbene, i due attacchi suicidi contro militari americani in Iraq hanno avuto ben altro trattamento semantico, e la definizione di "terroristi" è stata accompagnata da epiteti non precisamente lusinghieri nei confronti di chi aveva aggredito in quel modo non dei civili, ma i militari armati di un esercito invasore.
Non solo. Gli israeliani che per un eccesso di autodifesa hanno ucciso talvolta innocenti palestinesi che non si erano fermati ad un posto di blocco venivano indicati come assassini. Ma quando è capitato ad alcuni militari americani di massacrare un gruppo di persone che, a bordo di una macchina, non si erano fermati ad un posto di blocco, ecco che questi infelici divenivano una banda che aveva forzato il blocco per motivi ancora inspiegati e che "erano morti" (il termine "uccisi" era accuratamente evitato) in conseguenza del loro gesto.
Ho volutamente scelto un esempio americano, ma è evidente a tutti i nostri lettori che buona parte della stampa italiana, dall' ANSA a Televideo, dalla carta stampata ai media via internet, è maestra nel diffondere una visione distorta, faziosa, unilaterale e superficiale di quanto avviene in Israele e nei territori governati dall' Autorità Palestinese.
Ritorno al passato?
La guerra in Iraq ed il modo in cui ci è stata raccontata deve essere di insegnamento. Tutti contro all' inizio, viva la pace senza se e senza ma, americani cattivi. A metà strada: speriamo che duri molto e faccia tanti morti fra gli invasori; ma no, fermiamola subito anche se questo significa mantenere al potere Saddam. Ed ora, dopo lo scatenarsi dell' esultanza del popolo iracheno per la rapida vittoria americana: oramai la guerra è passata, non ha più senso fare dimostrazioni per la pace, pensiamo a ricostruire ed a mandare aiuti.
Li vogliamo chiamare voltagabbana? Opportunisti? Inaffidabili? L' importante è che i nostri media smettano di correre dietro alla moda pseudoculturale e pseudoprogressista di chi parla di un ideale dimenticando il mondo reale.Anche questo sarebbe un modo, vero, di aiutare il realizzarsi di pace, rispetto reciproco, pacifica convivenza e progresso sociale.