Autobus in fiamme: un terrorista palestinese racconta 09/01/2023
Analisi di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
Autobus in fiamme: un terrorista palestinese racconta
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)

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Karim Younes : « Je suis triste de constater que mon appel à l'action se  transforme en appel à la réaction » - Algerie Eco
Karim Younes

Non dimentichiamolo, anche i palestinesi hanno i loro eroi, sebbene questi ultimi non sempre abbiano la possibilità di far sentire la propria voce. Trattandosi di attentati suicidi, l'eroico combattente per la libertà scompare con le sue vittime – per lo più civili, scelti a caso in un luogo affollato – per esempio durante il Seder pasquale al Park Hotel di Nataniya o all'ora di pranzo al Café Maxim di Haifa. Da qui l’ importanza del libro che Hassan Salameh ha appena pubblicato. Intitolato “Autobus in fiamme” è stato presentato a Gaza giovedì 5 gennaio da Azzedine El Qassam, il braccio armato del movimento terroristico Hamas, alla presenza di centinaia di suoi sostenitori compresi i principali leader. Il signor Salameh, lui non c'era; sta infatti scontando un totale di 46 ergastoli nelle carceri israeliane per aver progettato e sponsorizzato tre attentati terroristici che hanno provocato 46 vittime e numerosi feriti. Reati che avrebbero comportato altrettante condanne a morte con o senza processo, rapidamente attuate in Iran, Turchia o Arabia Saudita per esempio. In Israele la pena di morte esiste solo sulla carta, ma è stata applicata una sola volta, nel caso di Adolf Eichmann, artefice della soluzione finale. Di qui l'elevato numero di terroristi nelle carceri di massima sicurezza israeliane. E gli incessanti tentativi di Hamas di acquisire ostaggi per assicurarne il rilascio. Nel frattempo, i detenuti beneficiano di condizioni abnormi – pensione pagata dall'Autorità palestinese, possibilità di fare studi universitari, ottenere visite. Ciò ha consentito in particolare a Salameh di scrivere "Autobus in fiamme" e di inviare il manoscritto. In un messaggio inviato dalla sua prigione in occasione del lancio di questa testimonianza dichiara, in particolare, che gli attentati di cui si assume la responsabilità “rimarranno immortali nella storia e racconteranno alle generazioni palestinesi la storia di una volontà che trascende l’impossibile, compie miracoli ed esibisce al mondo intero la fragilità dell'entità sionista.” Per coincidenza, un altro prigioniero è stato rilasciato nello stesso momento. Karim Younes, riconosciuto colpevole di aver rapito e assassinato il soldato Avraham Bromberg nel 1983, lui non è stato condannato all'ergastolo. Anche se ha trascorso quarant'anni dietro le sbarre, è uscito libero e ha ricevuto un'accoglienza trionfale nella sua città natale, dichiarando che sarebbe pronto a fare ancora di più per la Palestina. Questo senza dubbio gli è valso una telefonata di congratulazioni da parte del Presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas, che gli ha assicurato che i leader di Ramallah non si sarebbero mai arresi né avrebbero fatto concessioni riguardanti i "loro fratelli", che abbiano passato 40 anni come lui o 40 secondi nelle carceri dell’ “Occupazione.”  Piccolo particolare: se Hassan Salameh è originario di Khan Yunis nella Striscia di Gaza, il signor Younes è cittadino israeliano. È tornato a casa sua ad Arara, una cittadina di ventimila abitanti vicino ad Haifa e quindi all'interno di Israele, all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti.

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