Il nuovo governo di Israele al lavoro
Analisi di Antonio Donno
A destra: Benjamin Netanyahu
Netanyahu ha varato il suo ennesimo governo, secondo il progetto iniziale. Una conclusione ovvia, anche se assai complessa, perché il mondo politico israeliano è diviso in molte componenti, spesso assai distanti l’una dall’altra. Si tratta della storia del popolo ebraico che si è riflessa nella costruzione di uno Stato unitario che sin dall’inizio ha rappresentato la multiformità dell’ebraismo, pur nell’unità fondamentale del suo riferimento religioso. Una straordinaria realtà che ha percorso i secoli, intatta anche se minacciata sempre nella sua stessa esistenza. Oggi Israele rappresenta una realtà vitale, solida, ricca, matura, un esempio unico di verità nella storia.
Netanyahu ha un compito difficile, ma la sua esperienza è tale che si spera che la politica israeliana riprenda il suo corso, quel corso che ha permesso nei decenni scorsi a Israele di raggiungere risultati apprezzati a livello internazionale. Ma occorre, innanzitutto, che alcune pretese dei partiti religiosi che sono presenti nella compagine governativa siano messe da parte, al fine di dare concretezza e coerenza all’azione di governo ed evitare nuove elezioni. In parte questo è stato già fatto, con un’accorta attribuzione dei ministeri. Nel corso dell’azione governativa è importante che le richieste dei partiti religiosi non confliggano con la parte laica dell’elettorato laico rappresentato dal Likud di Netanyahu.
Sul piano dei rapporti internazionali, è fondamentale che siano ristabiliti positivi rapporti con gli Stati Uniti. In questi ultimi anni, infatti, nonostante che non siano verificati contrasti evidenti tra le due diplomazie, le relazioni tra i due Paesi hanno subito un certo raffreddamento. La reazione militare di Israele agli attacchi di Hamas nel maggio scorso, pur non avendo provocato contrasti evidenti con gli Stati Uniti, ha, però, riproposto stancamente il vecchio ritornello secondo il quale la pace tra Gerusalemme e i palestinesi sarà raggiunta soltanto realizzando la formula dei “due popoli, due Stati”, benché tale soluzione sia giudicata irrealizzabile anche dai politici più accorti in seno al governo americano. Sappiamo bene, tuttavia, che Biden non può non tener conto di quella parte politica che nel Partito Democratico sostiene apertamente le ragioni dei palestinesi. Netanyahu ha il difficile compito di riaprire il dialogo con la Casa Bianca e lo può fare grazie al fatto di essere a capo di un governo stabile e di essere una personalità politica di alto livello.
Questo è un passo fondamentale che avrà un riscontro politico positivo all’interno dello scacchiere mediorientale e nei confronti dei nemici di Israele. Non è facile capire quale sia stata la valutazione degli accadimenti politici da parte dei firmatari arabi degli Accordi di Abramo durante il periodo di assenza di Netanyahu dai vertici del governo di Gerusalemme. Per questo motivo, è indispensabile che Netanyahu riprenda i contatti con i cofirmatari degli accordi, forte di una ripresa positiva delle relazioni con Washington.
Ma l’assenza degli Stati Uniti dalla scena mediorientale non consiste solo nella freddezza delle relazioni israelo-americane. Il sostanziale fallimento dei negoziati di Vienna con l’Iran sulle questioni del nucleare di Teheran è un elemento di preoccupazione per Biden, in quanto il governo degli ayatollah, nonostante la grave situazione interna, ha stabilito un significativo legame con la Russia, un legame che sembra spingere il governo iraniano ad abbandonare il tavolo delle trattative per preferire il sostegno di Putin e forse anche della Cina nel confronto con l’Occidente. Si tratta di un fattore di grande preoccupazione sia per gli Stati Uniti, sia per lo stesso Israele. Nonostante Gerusalemme abbia stabilito da qualche tempo una sorta di accordo con Putin al fine di poter penetrare nelle zone della Siria sotto il controllo di Mosca per attaccare e distruggere le postazioni terroristiche sostenute dall’Iran, i nuovi contatti tra la Russia e l’Iran potrebbero produrre un capovolgimento della situazione assai pericoloso per la sicurezza di Israele.
Come si vede, Netanyahu ha da mettere mano a una serie di questioni di vitale importanza per il proprio Paese. Israele, come sempre, deve vigilare sulla propria esistenza, ma lo fa con la forza di un popolo che sempre resistito di fronte alle minacce dei suoi nemici.