Critici americani: perché non aspettare la formazione del nuovo governo per giudicare? 03/12/2022
Analisi di Michelle Mazel
Autore: Zvi Mazel/Michelle Mazel
Critici americani: perché non aspettare la formazione del nuovo governo per giudicare?
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)

https://israel247.org/2022/12/critiques-americaines-pourquoi-ne-pas-attendre-la-formation-du-nouveau-gouvernement-pour-juger/

Primo colloquio tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu:
Benjamin Netanyahu

Ai democratici negli Stati Uniti non è piaciuta la vittoria della destra in Israele. Certo, questa vittoria è stata conquistata democraticamente; certo, il verdetto popolare è stato definitivo, ma ciò non mette a tacere le critiche d'oltreoceano. E nessuno prova a ricordare loro che sei anni fa protestavano con veemenza contro quelli tra i repubblicani – e ce n'erano tanti – che contestavano i risultati delle elezioni americane. E’ inutile anche sottolineare che un'ampia frangia del Partito Democratico non approvava il governo di unità nazionale guidato da Naftali Bennett, poi da Yair Lapid, e che il Dipartimento di Stato ne condannava regolarmente le azioni. Soprattutto, è superfluo chiedere loro di avere pazienza. Il nuovo governo non è ancora insediato, Netanyahu continua a negoziare con i suoi alleati, e non è ancora chiaro quali ministeri in definitiva saranno loro assegnati e quale politica sarà adottata. Il buon senso suggerirebbe quindi di lasciare che il nuovo staff si organizzi e che lo si giudichi in base alle le sue azioni e non per le dichiarazioni rilasciate in precedenza dagli uni o dagli altri. E ci si aspetterebbe, a maggior ragione,  che la stessa prudenza la dimostrassero dei diplomatici e degli esperti. Purtroppo, non è stato così. Infatti, mercoledì 30 novembre il Washington Post ha pubblicato un editoriale in cui si legge in particolare che “Gli Stati Uniti non dovrebbero più fornire armi offensive o assistenza militare al nuovo governo israeliano per delle operazioni svolte a Gerusalemme e in Cisgiordania”. I firmatari? Dan Kurtzer, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Egitto e in Israele, e Aaron David Miller, specialista del Medio Oriente, che in passato era stato responsabile dei negoziati all'interno del Dipartimento di Stato, sia sotto l'amministrazione repubblicana che sotto l'amministrazione democratica. Insomma, rivendicando la loro conoscenza degli atti, queste due personalità invitano ad agire senza indugio per sanzionare una politica che ancora non c'è, cioè per punire preventivamente il reato doloso di certi politici, mentre nulla è stato ancora fatto e nulla fa presumere che a questa intenzione un giorno seguirà l’azione. In un podcast in lingua inglese, il futuro Primo Ministro Netanyahu ha affermato con forza che solo lui avrebbe diretto la politica del nuovo governo con il suo partito Likud, che sarebbe rimasto a capo del Ministero della Difesa.             

The return of Netanyahu and why he may rule differently this time around -  Vox

Potreste dirmi che i due uomini non chiedono l'arresto completo della fornitura di armi offensive e dell'assistenza militare, ma solo una sospensione a causa di operazioni svolte a Gerusalemme e in Cisgiordania. Gerusalemme, come riconosciuto dall'amministrazione Trump, in una risoluzione del Congresso che risale a più di vent'anni fa, è la capitale di Israele, e dal 2017 vi è stata trasferita l'ambasciata americana. Tre giorni prima della pubblicazione dell’articolo sul Washington Post, la città era stata colpita da due sanguinosi attentati; una giovane americana è rimasta ferita. Un'ondata di attacchi partiti dalla Cisgiordania ha causato molte vittime a novembre. È questo il momento giusto per cercare di ostacolare la capacità di risposta di Israele?

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Michelle Mazel