Amiche contro il muro dell'odio
Due donne che appartengono a due popoli nemici raccontano la loro amicizia
Testata: La Sicilia
Data: 17/03/2003
Pagina: 2
Autore: Carlo Anastasio
Titolo: Amiche contro il muro dell'odio
Riportiamo un intervista a due educatrici: Samar, palestinese che vive a Betania, e Angelica, ebrea che vive in Galilea, pubblicata su La Sicilia lunedì 17 marzo 2003.

«Apparteniamo a due popoli che si odiano, ma da quando ci siamo conosciute siamo diventate amiche. A volte penso che forse, chissà, in un’altra vita siamo state sorelle. Lei dice le cose che io ho sempre pensato. Questa è l’unica speranza che c’è rimasta, l’ultima carta della pace». Angelica Calò Livnè, educatrice in un kibbutz dell’Alta Galilea, dove in questi giorni si vive la paura per i possibili lanci di razzi degli Hezbollah, vive l’amicizia con la collega palestinese Samar Sahhar, che vive a Betania, come un grande dono, ma anche con la consapevolezza di una ferita aperta fra i rispettivi popoli. E anche Samar ammette: «In questo momento c’è troppo odio tra ebrei e palestinesi, sì, forse è meglio separare per un periodo di tempo i due popoli, in due Stati». E Angelica rilancia: «Ma Usa e Ue devono avere un ruolo più attivo. Questa soluzione non può venire solo dall’interno».
Eppure, questa loro amicizia ha squarciato il muro dell’odio: nelle loro persone e fra i ragazzi che esse educano. E vien da chiedersi perché palestinesi ed ebrei non possano vivere in dialogo come Angelica e Samar. Ognuna cerca di immedesimarsi nella storia dell’altra: Samar capisce il dramma delle famiglie israeliane costrette a vivere nel dolore e nella paura dai kamikaze. Angelica comprende la sofferenza dei palestinesi senza casa, senza patria e senza lavoro. Entrambe guardano alla guerra in Iraq come una iattura e ricordano i tristi giorni del ’91 quando a Betania i palestinesi rimasero 7 mesi col coprifuoco e a Sasa - nel kibbutz di Galilea - gli ebrei vissero nei rifugi sotto l’incubo dei missili di Saddam e la paura di un attacco chimico.

Entrambe, infine, guardano ai bambini come vittime della violenza e speranza del futuro. Samar pensa a come tirar su i suoi 108 orfani di "Jeel al Amal", mentre Angelica pensa ai suoi quattro figli maschi, per i quali ha sempre pregato che all’età dei 20 anni non fossero mai costretti a vivere da soldati in guerra.
Alla fine della conversazione, entrambe ci chiedono la stessa cosa: «Ascoltate e raccontate il dolore di tutte e due le parti».


Oggi Bush, Blair e Aznar hanno ribadito, riguardo al Medio Oriente, che si deve arrivare alla creazione di uno Stato palestinese separato da Israele. E quella che si prepara è una separazione netta, fisica e anche economica. Voi cosa ne pensate?
Samar: «Adesso la situazione è molto difficile. Abbiamo avuto sette anni di pace, nei quali fra israeliani e palestinesi la situazione era buona. Poi, invece, abbiamo avuto lo shock del ritorno della violenza. Ma in ogni guerra ci sono solo vittime, non ci sono vincitori. In Israele soffrono per i kamikaze, e noi in Palestina soffriamo in un modo incredibile: le persone sono totalmente bloccate, non possono uscire a lavorare, mancano cibo e medicine. Voglio dire che tra i due popoli c’è un dolore generale. In Palestina la disoccupazione è al 38%, in Israele è al 9%. Ma io sono stata in una strada in Israele e ho visto negozi deserti, ristoranti vuoti, e ogni negoziante aveva un’arma per difendersi, perché la gente ha paura: dunque anche là tutto è fermo. Noi abbiamo il coprifuoco imposto, loro vivono nella stessa situazione per paura. E io, che ho sempre pensato alla convivenza fra i due popoli, oggi dico che se la situazione è così, se c’è sempre la vendetta, se c’è sempre uno che vuole ammazzare l’altro, allora la separazione completa deve esserci, almeno per un periodo di tempo, per fermare questo sangue che continua a scorrere tra i due popoli».
Angelica:«Io ho la speranza che la situazione migliori. E il più presto possibile perché ho un figlio militare e come madre questa è l’ultima cosa che vorrei. Da noi il servizio militare dura tre anni ed è obbligatorio, il nostro è un esercito di difesa: siamo sei milioni di ebrei con 300 milioni di arabi intorno, e dobbiamo difenderci per non farci buttare a mare. Anch’io, lo dico subito, sono dell’idea che debbano esserci due Stati e ben divisi, almeno per un certo periodo di tempo. Il rapporto tra i due popoli s’è troppo invelenito perché, lasciati a se stessi, riescano a convivere. Io credo che i palestinesi debbano avere al più presto l’autodeterminazione, e che Europa e America, dimenticando per una volta i loro interessi diretti, debbano aiutarli a crearsi il loro Stato, però facendo in modo che i finanziamenti vadano veramente al popolo, alla realizzazione di scuole, ospedali, a tutto quello che serve per costruire uno Stato».

Su questa situazione già così difficile, c’è anche lo spettro della possibile guerra contro l’Iraq. Lei, Samar, a Betania, e lei, Angelica, nel suo kibbutz, come vivete questa prospettiva? Come la vive la gente in Palestina e in Israele?

Samar: «Dico la mia esperienza personale del ’91, durante la guerra del Golfo. Siamo stati per sette mesi sotto coprifuoco, a Betania. Tutto era bloccato. Potevamo uscire soltanto per una o due ore ogni tre giorni, per comprare quel che ci serviva, e nei negozi non c’era niente, mancava anche il pane, hanno bloccato l’acqua, nessuno poteva andare a lavorare, le nostre scuole erano chiuse. Non vorrei che dovessimo tornare alla stessa situazione. Speriamo che non ci sia questa guerra, non soltanto per noi, penso anche ai bambini dell’Iraq. Preghiamo per chi dovrebbe decidere questa guerra, perché trovi una ragione per non farla».
Angelica: «Noi invece nel ’91 restammo sette mesi nell’incubo per gli attacchi. Ricordo ancora che suonava la sirena, e avevamo sette minuti per correre da un figlio all’altro per aiutarli a mettere la maschera antigas, e poi rinchiuderci in una stanza e sigillarla col nastro adesivo, e stare tutto il tempo con la radio e con la televisione accesa per sapere se l’attacco era chimico, o biologico. Questa volta abbiamo più esperienza. Tutta Israele è preparatissima. L’altro giorno il mio bambino che va all’asilo – ho quattro maschi, lui è il piccolo – mi ha detto: "Oggi abbiamo preparato le decorazioni al rifugio, così, se andiamo giù, non siamo tristi". Nel liceo dove insegno, 1200 ragazzi, ogni settimana si fa l’addestramento per scendere nei rifugi. L’atmosfera generale è di sconforto. Non basta la situazione in cui ci troviamo sempre, ora c’è anche questa minaccia. E dall’altra parte, in Palestina, la situazione è ancora più grave. Tutto insieme è un conglomerato di sofferenza».

Voi siete amiche. Come mai Israele e la Palestina non vi assomigliano?

Samar: «Io ho un’amica olandese che, ancora adesso, parla della Seconda guerra mondiale, di quel che hanno fatto i tedeschi agli olandesi. Una situazione di guerra è una situazione di dolore, e il dolore non passa in un giorno. Molti non riescono a dimenticare una situazione che è stata terribile per loro. Io lo so che eticamente l’odio non dovrebbe esserci, ma siamo tutti umani. Però è necessario il perdono. Il Papa ha detto che non c’è vita senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono. Siamo stati due popoli messi nella stessa terra, quindi non è possibile che l’uno ammazzi l’altro fino alla fine. La convivenza fra i due popoli può nascere dai bambini, dai bambini dell’una e dell’altra parte. A loro bisogna insegnare il metodo della pace».
Angelica: «Io quando penso perché voglio bene a Samar, non penso per niente che è palestinese o turca o francese. Ci sono certe cose che lei dice che sono esattamente quelle che dico io. In un’altra vita dovevamo essere sorelle... Lei dice che non sa mentire, e nemmeno io so dire bugie. Lei dice che non sa litigare con la gente, e così è per me. Noi abbiamo avuto il grande dono, la grande fortuna, di conoscerci. Abbiamo avuto la possibilità di avvicinarci, di conoscerci. E probabilmente, grazie all’educazione che abbiamo avuto, non c’è stato nessun ostacolo fra noi, senza contare il fatto che, siccome siamo entrambe educatrici, amiamo da sempre i bambini, abbiamo sempre entrambe la sensazione forte di poter dare ai bambini questa parte positiva. Fra israeliani e palestinesi dobbiamo cercare di dimenticare certe cose, dobbiamo cercare di parlarci, di avvicinarci, perché non ci sono altre possibilità: è l’ultima carta che ci è rimasta».

SCHEDA
I PERSONAGGI
Angelica Calò Livnè, nata a Roma nel 1955, vive nel kibbutz israeliano di Sasa nel Nord della Galilea. Sposata con Yehuda, un ebreo israeliano di nascita che insegna tecnologia, matematica e fisica, ha quattro figli:Gal (attualmente nell’esercito), Yotam, Kfir e Or. Angelica lavora come educatrice nel kibbutz e insegna all’Università di Galilea di Tel Hai. Negli Anni Novanta è stata attivista del movimento pacifista della sinistra laburista «Peace Now».
Samar Sahhar, 41 anni, palestinese, di religione cristiana, vive a Betania, dove fa da mamma - nella casa «Jeel Al Amal» (Generazione della speranza) - a più di cento bimbi palestinesi orfani o abbandonati dalla famiglia, quasi tutti di religione musulmana e dove dirige una scuola frequentata da 300 alunni palestinesi.
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