Stati Uniti e Unione Europea divisi verso la Cina 02/12/2022
Analisi di Antonio Donno
Autore: Antonio Donno
Stati Uniti e Unione Europea divisi verso la Cina
Analisi di Antonio Donno

Cina-USA: il decoupling è davvero possibile? | ISPI

La guerra in Ucraina ha visto una comunione di intenti fra gli Stati Uniti e i Paesi dell’Unione Europea. Si tratta di una novità, tenuto conto che dalla fine della Guerra Fredda le due parti hanno assai poco condiviso una politica globale contro Russia e Cina. Benché i Paesi europei, che fanno parte dell’Unione, condividano i principi che hanno dato vita all’Unione stessa, occorre sottolineare come gli interessi politici, e soprattutto economici, dei singoli Stati abbiano percorso vie diverse nel corso degli anni. Insomma, se il pericolo comunista aveva cementato un’alleanza politico-militare comune, dopo il crollo dell’Unione Sovietica la conquistata vittoria aveva lentamente portato a una dissociazione di fatto tra le strategie politico-economiche delle due parti dell’Occidente.

     La storia di questa progressiva dissociazione ha favorito nel tempo l’emergere di due potenze autocratiche anti-occidentali, la Russia e la Cina, pur con diversa sostanza economica di base, ma con eguale pretesa di egemonia internazionale. Negli ultimi tempi, lo sforzo di Biden è consistito nel riavvicinare gli Stati e l’Unione Europea, quest’ultima a suo tempo fortemente criticata da Trump. Per ribaltare questa situazione, gli Stati Uniti di Biden chiedono all’Unione Europea una linea di condotta univoca contro la Cina di Xi Jinpeng. Ma lo sviluppo dei rapporti economici dei Paesi dell’Unione con la Cina è giunta ad uno stato di avanzamento tale da escludere la richiesta di Washington. Benché le relazioni economiche dei Paesi dell’Unione Europea e degli stessi Stati Uniti con la Cina costituiscano un intreccio formidabile di interessi, Washington ritiene che la Cina rappresenti un pericolo politico di prima grandezza per gli equilibri mondiali e che è necessario che le due sponde dell’Atlantico condividano una comune politica anti-cinese.

     Nonostante il punto di vista del governo americano, posizione che si è andata consolidando dopo le recenti minacce di Pechino contro Taiwan, gli europei non sembrano allarmati dal movimento economico crescente della Cina sulla scena mondiale. Una delle conseguenze più evidenti è l’atteggiamento dei Paesi sottosviluppati dell’Africa che vedono nella Cina un punto di riferimento sempre più importante per il loro sviluppo; cosicché essi vedono oggi in Pechino e non più in Washington un sostegno possibile per il loro futuro. È un’illusione: la Cina vede nei Paesi africani una fonte cruciale di approvvigionamento di materie prime indispensabile per la sua crescita, oggi in calo, e, di conseguenza, la dipendenza di quei Paesi dal denaro cinese ne fa dei satelliti di Pechino. Questa tendenza si sta presentando oggi anche per i Paesi dell’America latina. In questo senso, gli Stati Uniti, una volta la forza centrale da ogni punto di vista in quegli scacchieri, retrocedono al rango di attori sempre meno indispensabili.

      Washington tenta di riprendere il suo posto centrale nella politica internazionale coinvolgendo l’Unione Europea, senza successo. Eppure, la Cina è sempre più presente nello scenario mediterraneo. La scelta cinese è stata dettata dalla situazione politica europea. Negli scorsi anni, diversi Paesi dell’Europa orientale sono entrati nella Nato e ciò ha spostato l’interesse di Pechino nel Mediterraneo. Oggi, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha indotto la Cina a incrementare la sua pressione economica verso i Paesi islamici mediterranei; in realtà, l’indirizzo politico-economico cinese verso la regione data a prima della guerra di Ucraina, perché Pechino non intendeva confliggere con gli interessi egemonici della Russia di Putin verso i Paesi dell’ex Unione Sovietica. I fatti di Ucraina, tuttavia, hanno fortemente ridotto le ambizioni di Putin.

     La diplomazia cinese ha già compiuto alcuni passi verso i Paesi islamici del Medio Oriente e anche verso Israele. Il petrolio del mondo islamico della regione fa gola a Pechino perché Xi Jinping si rende conto che nel prossimo futuro la Cina avrà sempre più bisogno del petrolio mediorientale, anche in considerazione del presente declino della crescita del Paese e della gravissima disoccupazione dei giovani tra i 17 e i 25 anni, cioè il futuro del Paese. Gli Stati Uniti, d’altro canto, hanno tutto l’interesse a che la Cina subisca un declino politico a livello internazionale per riprendere il loro posto cruciale nella scena internazionale. Ma l’Unione Europea, come si è detto, è restia a coinvolgersi in questo obiettivo con Washington. Tutto, però, è in movimento.

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