La cartolina Anne Berest
Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca
e/o euro 19,00“… non so cosa significhi “essere davvero ebrei” o “non esserlo veramente”, posso solo dirti che sono figlia di sopravvissuti, una che non conosce i gesti del Seder ma la cui famiglia è morta nelle camere a gas, una che ha gli stessi incubi della madre e cerca il proprio posto tra i vivi, una il cui corpo è la tomba di quelli che non hanno avuto sepoltura”
Il romanzo di Anna Berest, autrice di romanzi, opere teatrali e sceneggiature, pubblicato dalla casa editrice e/o col titolo “La cartolina”, è la storia emozionante e coinvolgente della famiglia Rabinovitch, sullo sfondo dei primi cinquant’anni del Novecento, disseminata per l’Europa dalla Russia alla Lettonia, dalla Palestina alla Francia che si perde, si ritrova e in parte scompare nei campi di sterminio nazisti.
Opera di grande interesse storico, saga familiare, memoir con il ritmo incalzante del giallo, “La cartolina” è anche uno scavo psicologico nel vissuto dell’autrice che in queste pagine cerca di ricostruire un passato a lei sconosciuto, recuperare ricordi e riportare in vita i familiari inghiottiti dalla Shoah, restituendo loro la dignità che gli è stata strappata.
Tutto inizia con una cartolina anonima, quella del titolo, che Lélia, madre dell’autrice e figlia di Myriam (unica sopravvissuta della famiglia Rabinovitch) trova nel 2003 nella cassetta delle lettere. Vi sono riportati solo quattro nomi: Ephraim, Emma, Noémie, Jacques. “Erano i nomi dei suoi due nonni materni, della zia e dello zio. Tutti e quattro deportati prima che lei nascesse. Tutti e quattro morti ad Auschwitz nel 1942. E sessantun anni dopo, il 6 gennaio 2003, risorgevano dalla nostra cassetta delle lettere”.
Sulla cartolina è impresso il timbro dell’ufficio postale del Louvre, c’è l’immagine dell’Opéra Garnier e, stranamente, è indirizzata a M. Bouveris, il cognome del secondo marito di Myriam che all’epoca è morta da qualche anno. Sono pochi esili indizi che non consentono di individuare il mittente per cui la cartolina viene riposta in un cassetto immaginando uno scherzo di pessimo gusto.
“E’ che a scuola gli ebrei non sono molto amati”.
Questa frase che la piccola Clara, figlia di Anne, riferisce alla nonna sconvolge l’autrice perché per la prima volta la bimba si trova a fare i conti col suo essere ebrea e benchè in famiglia non abbiano mai davvero affrontato il passato e cosa significhi essere ebrei, Anne è consapevole che deve affrontare l’argomento per quanto spinoso esso sia. Dopo quindici anni dal ritrovamento della cartolina e dinanzi a una manifestazione di intolleranza antisemita l’autrice torna a guardare la cartolina con occhi diversi “Sentivo che dovevo saperne di più, che forse in quelle vite negate dalla Shoah, ma che prima di Auschwitz avevano amato, viaggiato, sognato c’era almeno in parte una risposta anche a ciò che implicitamente mi stavano chiedendo le parole di mia figlia”.
Quei nomi a cui non sapeva dare un volto diventano un’ossessione che la porta a lanciarsi in una indagine lunga e intricata per scoprire l’autore della cartolina anonima che la madre aveva ricevuto tanti anni prima.
L’esito di questa ricerca che darà i suoi frutti non si limita però a ricostruire una memoria familiare ma evoca un orizzonte più ampio con una progressiva presa di coscienza da parte dell’autrice della sua appartenenza all’ebraismo.
Nella prima parte del libro, “Terre promesse”, emerge la storia di Ephraim, ebreo russo nato a Mosca, e di Emma, nata a Lodz in Polonia, i bisnonni della scrittrice, dalla cui unione nascono Myriam, Noémie e Jacques. Brillante ingegnere Ephraim si sposta alla ricerca di migliori condizioni di vita dalla Russia alla Lettonia per arrivare in Palestina (lì da alcuni anni vivono i suoi genitori lavorando come agricoltori), prima di mettere piede in Francia dove spera di trovare la patria ideale in cui sentirsi perfettamente assimilato.
L’avvento in Germania del partito nazista nel 1933 avvia una spirale di odio che colpisce anche la famiglia Rabinovitch e quando la Germania occupa la Francia diventa impossibile fuggire anche perché per troppo tempo Ephraim si era rifiutato di vedere il pericolo incombente.
“Ricordi un bambino ebreo senza sinagoga” è la parte del romanzo in cui Anne intraprende con l’aiuto della madre, che nel corso degli anni aveva già recuperato alcuni documenti e lettere negli archivi, la ricerca dell’autore della cartolina avvalendosi, oltre che di resoconti familiari, anche della collaborazione di un investigatore privato e di un criminologo. Fa analizzare la grafia e i pochi elementi che il messaggio anonimo riporta, si reca nel villaggio in cui i Rabinovitch sono stati arrestati per interrogare gli abitanti, spesso reticenti dinanzi alle sue domande, e mette in atto ogni mezzo per rintracciare il misterioso mittente. Al contempo, in occasione del Seder di Pesach al quale viene invitata dal compagno Georges, Anne cresciuta in modo laico senza conoscere le tradizioni ebraiche incomincia a riflettere su cosa significhi essere ebrea nella Parigi del Duemila, su come gli altri percepiscano “l’ebreo” e su quanto incida nella vita quotidiana e nei rapporti con gli amici sapere di essere nipote di sopravvissuti alla Shoah.
Dopo un rapido scambio di missive fra Anne e la sorella Claire inteso a chiarire alcuni punti rimasti in sospeso del loro passato, la parte più coinvolgente del libro, “Myriam”, è il racconto emozionante di quanto è accaduto alla nonna dell’autrice dopo la deportazione dei familiari ad Auschwitz, il matrimonio con Vicente Picabia e la loro fuga nel Sud della Francia. In queste pagine le emozioni e gli eventi si intersecano in un crescendo di suspense: nella “casa dell’impiccato” di Madame Chabaud sull’altopiano delle Claparèdes, dove si rifugiano grazie all’aiuto di affiliati alla Resistenza, Myriam vive in completa solitudine e nel timore di essere scoperta perché Vicente, spirito ribelle, va e viene nascondendo un lato oscuro della sua personalità.
Lo sbarco in Normandia prima e la liberazione poi portano alla luce sentimenti contrastanti: al sollievo per la ritrovata libertà subentra nel cuore di Myriam, ormai tornata a Parigi, l’angoscia nello scoprire che l’Hotel Lutetia è il luogo di approdo di tanti esseri umani sopravvissuti ai campi di sterminio che si aggirano come scheletri dallo sguardo perso nel vuoto. Purtroppo fra quei fantasmi Myriam non troverà mai né i genitori né i fratelli.
“La cartolina” è un libro che potremmo dire ne racchiude tre al suo interno: c’è la saga familiare che racconta le vicende della famiglia Rabinovitch, costretta a fuggire dalla Russia nel 1919, sia perché di religione ebraica sia per motivi politici, che alla fine troverà la morte nei campi nazisti. C’è la dimensione dell’inchiesta, quasi un romanzo poliziesco, che ripercorre le fasi dell’indagine che l’autrice compie per cercare la persona che aveva inviato la cartolina (nell’ultima pagina si scoprirà chi è!). Infine, come terzo elemento emerge la ricerca identitaria: la strada molto personale che Anne, cresciuta in una famiglia con valori laici e di idee socialiste ha percorso per rispondere a una domanda che non si era mai posta: “Cosa significa per me essere ebrea?”
“Mentre gli ultimi testimoni diretti dello sterminio stanno per scomparire, il libro mantiene vive le loro voci, portandole alle orecchie di generazioni che non hanno vissuto quel periodo”.
“Credo – riflette Anne Berest - che raccontare quanto è accaduto spetti ora alla mia generazione”. Trasmettere “una memoria” è un compito essenziale, oggi più che mai come ricorda Simone Veil, prima donna Presidente del Parlamento europeo: “Non esiste un dovere di memoria, bensì un dovere di trasmissione”.
Giorgia Greco